26 Marzo 2025 - 05:25
CROTTA D'ADDA - Il dovere della verità, la caduta del mito italiani brava gente, l’urgenza della riconciliazione, la natura cremonese come luogo dell’anima da cui ripartire. È tutto questo il romanzo ‘Una pioggia bruciante’ pubblicato per la terza volta da un un quarto di secolo da Franca Cavagnoli, cresciuta a Crotta d’Adda e trapiantata a Milano. Traduttrice di Premi Nobel e di grandi della letteratura come George Orwell, insegna al Master in editoria dell’Università degli Studi di Milano e alla Holden. Assieme a Feltrinelli, ha ravvisato la necessità di ripubblicare una storia uscita per la prima volta nel Duemila e tornata in libreria 15 anni dopo.
«Credo che sia ancora attuale perché nel 2025 ricorre il centenario di una delle pagine più cupe della nostra storia coloniale, ossia l’uso che gli italiani hanno fatto dell’iprite, gas killer riversato dagli aerei che ha fatto strage della popolazione del Corno d’Africa, in particolare dell’Etiopia. I testimoni dissero che dal cielo scendeva una pioggia che bruciava, che uccideva». Ne parla nella videointervista ‘Tre minuti un libro’ online da oggi sul sito.
Un padre e una figlia, un legame all’apparenza indissolubile che viene disciolto dalle realtà della Storia. Quella di un’Italia colonialista che ha violato qualunque limite pur di potersi definire Impero, che si intreccia con la storia di Vittorio, che amava volare e raccontare la guerra d'Etiopia a sua figlia come se fosse una fiaba. Ma la Storia emerge a denunciare la realtà di quanto successo: potrà il legame tra padre e figlia sopravvivere?
In spregio alla convenzione di Ginevra, Pietro Badoglio, futuro firmatario dell’armistizio con gli anglo-americani e capo del governo dal 25 luglio 1943 al 18 giugno 1944, convinse Benito Mussolini a usare le bombe chimiche. Il maresciallo fu poi inserito nella lista dei criminali di guerra dell’ONU, su richiesta dell’Etiopia, ma non venne mai processato. Una guerra sporca che ha sconvolto Daniela, la protagonista: Vittorio, suo padre era motorista su uno di quegli aerei «ma finché Daniela era stata una bambina le aveva fatto un racconto molto idealizzato dell’Africa, era come se ricordasse solo le cose belle, quelle che corrispondevano ai suoi sogni di bambino quando fantasticava di imitare Vittorio Bottego, famoso esploratore.
Quando Daniela, ormai cresciuta, si ritrova all’università è un professore di storia contemporanea dietro il quale si cela lo storico Angelo Del Boca a raccontare che gli italiani in Somalia avevano impiegato l’iprite, già usata dai tedeschi nelle trincee della prima guerra mondiale e poi messa al bando».
Il racconto sconvolge Daniela che torna a casa e chiede conto al padre. «La reazione di Vittorio è quella tipica di tutti gli uomini della sua generazione che hanno fatto la guerra d’Africa, basta leggere che cosa diceva Indro Montanelli. E allora cade miseramente il mantra di un colonialismo buono e dal volto umano. È un fatto storico rimasto celato per tutta la seconda metà del Novecento fino a quando, nel Duemila, gli archivi sono stati aperti. Un fatto del quale anche oggi poche persone sono al corrente».
Scoperta la verità, Daniela si allontana dal padre amatissimo che, rimasto vedovo, l’ha cresciuta da solo. Si ritroveranno solo nel momento del fine vita di lui. La conciliazione è un altro livello di lettura del romanzo. Cavagnoli scrive di un genitore che fa «come tutti gli italiani: non mentono ma preferiscono non dire».
Ma un rapporto si può ricostruire solo partendo dalla verità «Vittorio omette, non dice, è sfuggente. Però poi quando si rende conto di essere alla fine scrive a Daniela, che torna per restare con lui. Solo in quei giorni e dopo decenni, può ritrovare i tratti di un padre che aveva tanto amato da piccola perché finalmente lui si è svelato attraverso una lunga lettera. Le racconta quanto successo in Africa e le dice una cosa per lei importante: io non ho il rispetto che hai tu nei confronti della storia, non è la verità storica che cerco e voglio solo che tu mi ricordi ma anche che tu ricordi per me».
Ammette Vittorio: «Volevi che fossi un eroe. Invece ero solo un motorista». Daniela, così come l’autrice, è convinta che la ricerca della verità sia fondamentale per non ripercorrere gli errori del passato. Il romanzo mette nero su bianco il drammatico racconto di Mariam, parente delle vittime di quella pioggia che brucia. Pagine altamente drammatiche, che non lasciano indifferenti.
Solo la verità, ne è sicura Daniela, consente la riconciliazione fra gli individui e anche a livello collettivo. Da noi non è andata in questo modo, non ci siamo mai veramente riconciliati dopo il fascismo e in troppe occasioni non si è detta la verità. E così i problemi ritornano fuori anche se sono passati decenni».
Il romanzo ha un’anima poetica. La ragazza sconvolta dall’avere conosciuto la verità cerca rifugio nelle sue campagne, che sono quelle cremonesi, dove è cresciuta, in riva all’Adda. E ritrova l’armonia che non ha più. «Qui c’entra la mia esperienza personale - ammette Cavagnoli -. Il momento in cui io riesco a stare meglio con me stessa è proprio quando passeggio nella campagna intorno a Crotta, in particolare dove l’Adda confluisce nel Po. Un paesaggio grandioso la fusione di queste due entità così vive. Ricordo la mia campagna con gli occhi dell’infanzia anche per le passeggiate con mio padre e mio nonno, mi sono rimaste dentro per tutta la vita. E anche andando per altre campagne, come per quella toscana, frequentata per decenni, c’è sempre la nostalgia di quelle di casa».
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