19 Marzo 2025 - 05:25
CREMONA - C’è qualcosa di davvero strano sull’isola di Alicudi, «cinque chilometri scarsi, che nessuno sapeva contare» che però, a quel tempo, «per i settecentotredici abitanti era l’unico mondo conosciuto». Streghe che volano libere, serpi con i capelli capaci di assumere le forme di essere umano, pietre pomici che piovono dal cielo e scompaiono al tatto, pescatori che tagliano le trombe marine, clangore di catene giorno e notte, uomini-lupo, morti che parlano...
Erano gli anni compresi tra il 1903 e il 1905 e da lì prende il via un panorama mitologico che ancora oggi vive nel racconto degli isolani. Un fazzoletto di terra disperatamente magico, con abitanti per lo più dediti all’agricoltura il cui unico obiettivo quotidiano è riuscire a portare pane in tavola. E proprio il pane, causa di un’allucinazione collettiva, è alla base di questa storia vera che Marta Lamalfa, con lingua originale e antica, riporta alla luce nel romanzo ‘L’isola dove volano le femmine’, premio Bagutta Opera prima. La scrittrice ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista ‘Tre minuti un libro’. «Sono partita dalla teoria antropologica di Elio Zagami secondo cui sull’isola a inizio Novecento la segale cornuta sarebbe stata contaminata da un fungo parassita contenente l’ingrediente base dell’Lsd».
Questo lo spunto iniziale, «ma quello che mi interessava era esplorare il tema delle visioni quasi come speranze innate dell’uomo e analizzare un altro piano della realtà in cui i personaggi non erano consci di vivere, capire come potevano interagire il piano di un mondo fantasioso e quello di una realtà molto concreta e molto dura in cui l’isola era in sofferenza». Tanta miseria che addirittura non c’era abbastanza farina buona per portare il pane bianco a tavola. La vicenda viene raccontata dal punto di vista della famiglia più povera tra i poveri. «Alicudi è un’isola dove la ricchezza non ha mai abitato, all’epoca c’erano soltanto due proprietari terrieri, 13 pescatori e tutto il resto degli abitanti, circa 700 erano contadini. E tanta miseria».
Le allucinazioni non sono altro che un mezzo di evasione dalla realtà, un modo per vivere vite diverse. «Mi sono chiesta, però, cosa succede se quel confine fra realtà e immaginazione si perde. I personaggi che si muovono all’interno del romanzo non sanno di essere vittime di allucinazioni e credono, per la prima volta nella loro vita di fatiche, che i loro sogni si possano realizzare». Gli occhi narranti sono quelli di Caterina, una ragazza che aveva una sorella gemella, Maria, alla cui morte comincia il percorso in cui dovrà ritrovare sé stessa perché si identificava molto in lei, suo unico punto di riferimento in una famiglia distratta dalle miserie quotidiane.
Era Maria a scegliere per lei i pensieri giusti, ora chi lo farà al suo posto? Se l’è portata via un male cattivo e tutti in famiglia – dalla bisnonna che non ci vede più bene ma capisce tutto, a Palmira, la madre che ha per la quarta volta un bambino in pancia ma ha perso la testa per il dolore – pensano sia colpa di Ferdinando, che sconta una pena al Castello di Lipari, che ha amato Maria e vuole fare la rivoluzione.
Ora che la gemella non c’è più, anche se la stanza di Caterina si è allargata, la vita è diventata per lei molto più stretta: lavora nei campi fino al tramonto, consegna le acciughe sotto sale e aiuta la mamma con le fatiche di casa, aspettando il suo giorno preferito, quello in cui tutti si riuniscono per impastare il pane. Da qualche tempo, però, alle spighe di segale dell’isola sono spuntati dei piccoli corni neri come il carbone, tizzonare le chiamano. Persa la sorella, Caterina cerca altrove un’altra figura di riferimento e viene affascinata da Calòria, additata come strega, majara come si diceva sull’isola. Una donna senza marito e figli, e quindi per il tempo è strana, diversa.
Caterina ne è affascinata e la cercherà, vuole immedesimarsi con lei perché è libera di scegliere il proprio destino, cosa che con una famiglia arcaica e patriarcale non succede. «L’idea di esplorare nuovi mondi e nuovi territori l’affascina. E poi le majare tornano sull’isola cariche di cibo, banchettano attorno al fuoco, si divertono, giocano». In un romanzo in cui i corpi sono oggetto insieme di tabù e di scoperta, Calòria è morbida, accogliente, mentre Palmira diventa ogni giorno più magra, così sottile «che solo l’aria la sostiene», perché sembrano esserle scomparse persino le ossa.
Una guaritrice, in realtà, aveva messo in guardia la popolazione dall’utilizzare il pane nero e l’autrice constata, non senza amarezza che «qualcuno poi la guaritrice l’ha ascoltata, il pane nero ha smesso di mangiarlo, qualcuno invece no, perché non aveva altro e pensava che fosse meglio vedere cose strane che non vedere niente». L’alternativa era morire di fame e il sogno la sola via di fuga. Alicudi è isola piccola e lontana dal resto del mondo, però vi approdano gli echi del del socialismo, della ‘rivoluzzione’, come dicono qui, nelle campagne. «Approdano attraverso Ferdinando, straniero in quanto di Napoli. Un coatto come si diceva al tempo, che vive in stato semi prigionia nel castello di Lipari. Arriva per condividere queste idee nuove, ma la sua presenza è sporadica quindi rimane questa parola, rivoluzione, che però nessuno sa esattamente come si faccia e resta concetto vuoto».
S.E.C. Spa – Divisione Commerciale Publia : P.IVA 00111740197
Via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona : Via Cavour, 53 - 26013 Crema : Via Pozzi, 13 - 26041 Casalmaggiore