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IL COMMENTO AL VANGELO

Pregare con il cuore di Gesù: fiducia, ascolto e Spirito

L'insegnamento parte dal desiderio dei discepoli di entrare in una relazione autentica con Dio

Don Paolo Arienti

27 Luglio 2025 - 05:20

Pregare con il cuore di Gesù: fiducia, ascolto e Spirito

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

(Lc 11,1-13)

Ci sono due modi di pregare: un primo che suppone un potere da convincere, quasi corrompere… una pietà da strappare perché in fondo a chi sta in alto quel che capita sotto non importa; e un secondo che imposta il senso della preghiera sulla comunione e sul legame tra alto e basso. Gesù si colloca decisamente nel secondo modo, forte della sua convinzione che il Signore, il Padre, non è un idolo da incrinare e scalfire, ma un mistero di amore in cui abitare. Diverse volte i Vangeli accennano al rapporto intimo tra Gesù e Dio, nelle sue nottate trascorse in preghiera, nei momenti di solitudine, sino alla drammatica sosta al Getsemani, dove la volontà del Figlio sembra vacillare davanti alla richiesta, pesantissima, del sacrificio per amore. È bello che di questo rapporto singolare i discepoli si accorgano e che, quasi, vogliano strapparne a Gesù il segreto, la chiave di accesso, la consistenza. «Insegnaci… come Giovanni ha fatto con i suoi».

Potremmo tradurre così: accompagnaci dentro il mistero profondo di Dio, non vogliamo restarne fuori, spettatori distanti… E la preghiera che Gesù insegna certo diventerà una formula che tutti bene o male conosciamo (qui nella versione 'breve' di Luca), ma è innanzitutto la constatazione di uno spazio di comunione in cui immergersi. È la ragione per la quale tutta la prima parte del Padre nostro, in entrambe le versioni, è una collezione di constatazioni, di lodi, di riconoscimenti. Non si chiede nulla di immediato e materiale, si esalta, si osserva, si va subito al sodo e al fondamentale: il Regno, la volontà. Solo dopo aver delineato questo scenario, in cui Dio è Dio e l’uomo è l’uomo, Gesù introduce alla libertà dei figli: poter chiedere, essere nella condizione di accogliere, sperare la liberazione dal male. Compresa la parabola che viene in aiuto all’insegnamento della formula: un testo che spiazza nella sua chiarezza e che sembra offrire di nuovo alla preghiera, ogni preghiera, il suo fondamento di grazia e di verità… come se tutto fosse immediato e semplice, bello e pulito. Come belle e pulite sono le preghiere di quelle persone semplici che la vita ha rafforzato, che la sofferenza ha strappato all’ingenuità, che il lavoro quotidiano ha reso più forti di quanto si possa misurare a suon di titoli scolastici. Quanta gente saggia senza laurea; quanti maturi e laureati possiamo sospettare siano caduti nella trappola del vuoto, dell’immagine o della rigidità…

Sorprende però che alla fine il commento di Gesù viri su di un mistero che forse poco consideriamo: il Padre darà sicuramente ai suoi figli lo Spirito. Cioè? È questo l’esito della preghiera? Non ciò che il nostro cuore, la nostra storia, il nostro bisogno reclamano? Sembra una virata spiritualista, quasi un inganno rispetto alla dinamica scontata della preghiera che tutti ci aspetteremmo. Ma dare lo Spirito nel linguaggio evangelico è davvero tutto. È il bene più prezioso, è il legame indissolubile con Dio e la certezza che nulla potrà mai saccheggiare quell’amore fedele o interrompere un’alleanza certa. Gesù introduce questo passaggio facendo leva sulla bontà anche dei cattivi, su quel legame di tenerezza che lega anche i più efferati dittatori ai propri figli. Dio non farà forse molto di più? E cosa sarà questo molto di più? Non certo una serie sconsiderata di magie, non favori paranormali per alcuni e non per altri, ma l’offerta di un legame e di una forza che l’essere umano avrà sempre a disposizione. Anche nelle situazioni di maggiore precarietà, anche ai confini della disperazione. Sembra di poter dire che per Gesù la preghiera sia l’immersione in una esperienza di fiducia totale, da cui Dio non si sottrae mai.

È un tirocinio spesso difficile, perché la tentazione dell’agnosticismo, del dubbio, il desiderio struggente che tutto si pieghi subito, che ogni male e ogni contraddizione si risolvano immediatamente… pesa tantissimo e lavora come un pesantissimo macigno nel cuore di ognuno.

È un esercizio di cucitura paziente, alla ricerca dell’essenziale che serve e basta per vivere. Una preghiera così, spesso fatta più di silenzi che di parole continuamente ripetute o urlate, scava, plasma, dà forma. Anche nelle stagioni della nostra incredulità.

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