20 Luglio 2025 - 05:05
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
(Lc 10,38-42)
Oggi entriamo con Gesù in una casa. Non sappiamo di quante stanze fosse composta né se si trovasse in un quartiere per bene. sappiamo però, da altre ricorrenze evangeliche, che Gesù da Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro, andava spesso: si trattava di una casa particolare, la loro. Una casa di amici, dove si va volentieri a cena, a condividere qualche momento di pausa e di distensione. Luca sembra dirci che per le due sorelle Gesù è già un personaggio importante. Sicuramente la sua attività di maestro libero e liberante era già ben nota, insieme all’autorevolezza che i suoi gesti gli assicuravano. Per questa ragione Marta si prodiga ad ospitare Gesù, diremmo oggi, con tutti gli onori. Ma un’altra presenza sembra occupare la scena: l’attenzione della sorella Maria che è raffigurata quasi accovacciata ai piedi del maestro, in una postura di ascolto umile e, possiamo immaginare, molto attento.
La polarizzazione tra le due non tarda a farsi evidente: una si muove, tra i molti servizi, l’altra è immobile; una fa, l’altra ascolta. Si tratta di due stili, due condizioni in quella anonima casa dell’antico Israele. Ma al tempo stesso è anche il dilemma, la tensione che percorre tutte le nostre esistenze: davanti alla vita e alle sue cose più serie ci sentiamo in obbligo di fare, intervenire, lavorare… ma al tempo stesso qualcosa di dice: fermati, guarda, contempla, ascolta. Lo sbottare di Marta contrappone le due dimensioni, perché sembra che Maria trascuri il dovere dell’ospitalità. Forse lo avrà anche fatto, ma si è presa la parte migliore: ha saputo rendere relativa la fretta, ha saputo controllare l’ansia ed ha assunto l’atteggiamento che Gesù vuole raccomandare a tutti. La parte migliore è il saper guardare ed ascoltare. Perché di una sola cosa c’è davvero bisogno, mentre l’elenco delle cose che servono, delle urgenze e delle necessità, si allunga per tutti a dismisura e si gonfia come una mongolfiera.
Questa grande lezione la si sperimenta anche oggi: ai piedi di un letto di ospedale, davanti alle rughe di un anziano, mettendosi in ascolto di una persona segnata da forti limiti o disagi… insomma in quelle circostanze in cui non siamo solo noi ad agire e a guadagnare, a servire e ad essere utili… quando il controllo cede il passo all’altro che irrompe e ci disarma, costringendoci a cambiare passo, se non a chinarci, a fermarci. Luca ci presenta non una alternativa militare, un prendere o lasciare. Gesù conosce anche le giornate piene, il lavoro quotidiano, la stanchezza della manualità e della cura. E non la disprezza. Anzi: si potrebbe riscrivere tutto il vangelo ripercorrendo i gesti di liberazione e prossimità che lo stesso Gesù ha speso a contatto con la vita degli ultimi, dal tocco al lebbroso alla lavanda dei piedi. Per questo Luca dice che Maria ha scelto la parte “migliore”: perché nella vita servono entrambi gli approcci e l’esistenza vera, non quella ideologica, non sopporta le guerre totali, ma vive nel realismo della sintesi. Stare un po’ ai piedi del Maestro serve a relativizzare le corse, a non restare schiacciati dall’ansia di prestazione sino al punto di sentirsi indispensabili, dei sostituti del salvatore… insostituibili. Il tempo estivo forse apre per molti di noi qualche finestra sulla casa di Marta e Maria… forse qualcuno di noi è più facilitato dai ritmi della vacanza a fermarsi un po’ di più, non nell’ozio improduttivo, ma nell’ascolto fecondo, ai piedi della Parola, ai piedi dell’umanità, ai piedi di quanto davvero conta conservare e custodire. Immaginiamo che il tono con cui Gesù si è rivolto a Marta non sia stato di rimprovero né di antagonismo. Piuttosto sarà stato un tono di richiamo, perché la sua amica facesse attenzione a deporre i toni rivendicativi e accorgersi che altro stava accadendo: si apriva anche per lei lo spazio dell’ascolto e della condivisione che non passa solo attraverso i molti servizi.
Dell’esperienza di Marta, ricondotta con dolcezza al cuore, al meglio, abbiamo tutti bisogno. In particolare se ne sente la necessità nelle relazioni familiari e comunitarie, troppo pesate dalla performance, dall’essere solo capaci. Ammettere che a volte si può spegnere la tv, ci si può guardare, interrogare, chiedersi “come stiamo”, pregare insieme, addirittura insieme ascoltare il Vangelo, confrontarsi su cose vere e profonde… può guarire e aprire al meglio che Gesù ci richiama.
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