09 Aprile 2025 - 05:30
CREMONA - Quando il Bimbo del carillon gattonò fino a quella scatola misteriosa che emetteva suoni giocosi ne fu affascinato, ma ancora non sapeva che la musica gli sarebbe entrata nell’anima, un’emozione nuova e travolgente; lo capì un po’ meglio poco tempo dopo quando, «a quattro anni, mettendo l’orecchio sulla cassa armonica di una chitarra e dando uno schiaffone sulle corde iniziai a sentire quel suono vibrare dentro di me».
Un percorso continuato imparando a suonare la chitarra semplicemente osservando suo padre farlo. Ne è seguita una crescita lunga una vita che l’ha portato fino alla fama mondiale nel mondo del prog rock come ‘socio’ fondatore della Pfm, accompagnata dalla parallela scoperta di sé e delle sensazioni che l’hanno portato a comporre ‘Impressioni di settembre’, brano entrato di diritto nella storia della musica. Quel Bimbo è Franco Mussida, chitarrista e compositore, ma anche pittore, scultore e scrittore. E soprattutto uomo sempre pronto a guardarsi dentro e capace di cambiare rotta quando il suo inflessibile giudice interiore gli grida un inequivocabile «Basta!». Si racconta nel romanzo ‘Il Bimbo del Carillon’ e conversando con Paolo Gualandris nella videointervista ‘Tre minuti un libro’.
«Una vita e una carriera frutto di una serie di esperienze iniziatiche. Tutta la mia avventura arriva dal piacere che mi dà suonare nel senso che cerco di conoscermi e di mettermi a nudo suonando e componendo. Poi c’è stato un altro momento, quello della presa di coscienza del mio ruolo nel mondo, nel senso che il suono è figlio della natura, dove tutto risuona, tutto è un corpo sonoro». Molto tempo dopo, quel Bimbo ormai più che settantenne sale in macchina per un viaggio solitario verso l’Oasi di Ninfa, in provincia di Latina, luogo speciale dove scavare dentro di sé e trasformare in musica intuizioni, immagini, frammenti di memoria.
È l’inizio di un percorso spirituale, sulle tracce di un ragazzo schivo che negli anni Sessanta e Settanta si trova a calcare i palcoscenici di mezzo mondo. Un uomo che non si è mai sentito star ma ‘solo’ musicista. Un maestro che ha poi messo la propria arte al servizio di migliaia di persone, in comunità e istituti di pena. L’ennesima esperienza iniziatica. Così come è stata la creazione nel 1984 del Cpm, scuola di musica popolare, che ha ‘laureato’ migliaia di ragazzi. «Il libro nasce nel 2012 dalla pulsione istintiva di mettere in parole la mia parte giovanile, forse per paura di dimenticarla dovesse mai arrivare una malattia di quelle che non ti ricordi più niente». Inizia così un viaggio lungo 31 tappe. Con gli occhi del ricordo e la memoria del cuore che si fermano sui momenti più importanti di una vita illuminata dalla musica, «una torcia che rischiara parti dell’anima, che aiuta a vivere con coscienza i cambi di stato interiore diventando stabilizzatrice dell’umore e quindi elemento fondamentale di benessere individuale e collettivo, che porta consapevolezza e compassione». Un viaggio spesso con compagni speciali, il Gruppo, come lo chiama lui, con la G maiuscola, la Pfm. Nella quale lui per queste sue propensioni è il Monaco.
«Era la mia seconda famiglia. Nella prima ci sono i genitori che dettano la strada e tu devi ascoltarli, nella seconda c’è la condivisione con la possibilità che ciascuno si mostri per ciò che è, per le sue diversità. Ho immensa gratitudine verso i miei compagni d’avventura proprio perché mi hanno consentito di fare un lavoro anche creativo isolandomi così come partecipando insieme ad altri alla creazione». Mussida ammette di vivere «le esperienze in maniera ossessiva, quando appare una visione devo provare a metterla a terra. Compito che tante volte appare decisamente superiore alle mie forze. Vivo perennemente questa ansia, anche se poi, chissà come, riesco a portare a casa l’obiettivo». Come questo libro. Oggi «mi diverto come un pazzo ancora a pensare a cosa deve essere il Cpm nei prossimi 40 anni, a capire che cosa è utile oggi per i ragazzi che affrontano un’esperienza musicale, cosa serve loro oltre all’intelligenza artificiale. Ecco queste sono le domande che mi appassionano». Forse sarebbero le stesse che si potrebbero porre i due suoi grandi amici Fabrizio De Andrè e Giorgio Gaber. «Sì, ma loro sono stati dei traduttori di poesia, capaci di farci assimilare la realtà anche nei suoi lati peggiori. Oggi o avrebbero alzato le mani, andando uno a fare il pescatore e l’altro l’agricoltore, oppure avrebbero tirato fuori cose davvero straordinarie».
Visto da Cremona, il racconto non può prescindere dal rapporto con Lucio Fabbri e Bernardo Lanzetti. «Al primo mi lega la propensione immaginativa. Grandissimo improvvisatore, è una persona che si lascia andare, ma stranamente è anche timoroso. Però quando prende in mano lo strumento diventa coraggioso. Persona di grande delicatezza e sensibilità. Bernardo, invece, è istinto puro, una voce unica».
Avendo fatto un percorso anche spirituale così importante, ce l’ha ancora dentro l’emozione delle... impressioni di settembre?
«Mi sento un’antenna trasmittente ma soprattutto ricevente e il cielo parla. Bisogna avere la pazienza di coltivare il silenzio e attraverso questo elemento lasciare che il cielo ci parli, e ti può capitare di ricevere dei regali. Ne sono sempre in attesa e ogni volta che ciò accade, si alimenta un’energia che non è soltanto mia ma che regge tutte le cose assurde che sento di dover fare».
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