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L’eroe imperfetto in cerca di riscatto

Un nuovo ‘attore’ del giallo all’italiana tra cinismo, violenza e sete di giustizia nel romanzo 'La fame del Cigno' di Luca Mercadante

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

26 Febbraio 2025 - 05:25

CREMONA - Con ‘La fame del Cigno’ nella biblioteca del giallo all’italiana fa irruzione Domenico Cigno, cinico eroe imperfetto, ex pugile ora giornalista obeso con più d’un errore nel suo passato, miracolato grazie all’intercessione del suo direttore. È il cronista chiamato a seguire quotidianamente il Napoli Calcio per un grande giornale del Nord, incarico ambito da ogni cronista sportivo, ma che considera una sorta di palla al piede. È capace di grandi intuizioni, in lui prevale lo spirito del nerista. Vive le sue giornate tra pasti debordanti e articoli copia-incolla. Senza moglie né figli, ha già lasciato il meglio della vita dietro di sé. Abita in una cascante villetta con giardino sul litorale domitio, che da Napoli arriva fino al confine col Lazio. Cinquanta chilometri bassi e sabbiosi, stretti tra un mare che d’inverno si fa gelido e poco frequentato e campagne paludose.

La fame che dà il titolo del romanzo, non è solo fisica, ma anche di notizie e di verità. «Fame di riscatto. Fame di portare la notizia la sera - come spiega il suo padre letterario, Luca Mercadante -. Ho un’idea molto romantica del giornalismo, vero strumento per lottare contro le ingiustizie. Ho costruito un personaggio che ci crede almeno quanto me. Naturalmente il suo agire non è sempre giusto perché mentre raccoglie informazioni vede già il limite morale davanti al suo camino e subito intravvede che quel limite è già superato».

Lo scrittore parla del suo romanzo nella videointervista ‘Tre minuti un libro' online da oggi sul sito. ‘La fame del Cigno’ non è solo un giallo ma una storia che può essere vista da mille prospettive: sul giornalismo, sul funzionamento della giustizia, sul razzismo non dichiarato ma latente in molti di noi, sulla criminalità organizzata, sul calcio malato. Precisa Mercadante: «Cigno sono io. Per me è strano pensare al protagonista e all’ambientazione come realtà separate».

Il territorio è «quello della fascia costiera che va da Napoli al Garigliano, zona che adesso tutti conoscono in quanto degradata ma che dagli anni ’50 fino ai ’70 ha vissuto di grande speranza: si pensava di fare qualcosa di importante, un’operazione tipo Las Vegas, di fare cioè di quel territorio un grande complesso turistico, una nuova Ischia o Capri. Sono apparsi grandi alberghi sul mare come se fosse Miami Beach, e campi da golf e da tennis in un territorio che non conosceva niente di tutto ciò. Un sogno fallito per tanti motivi, in primis perché parecchi di quegli insediamenti erano abusivi, altri addirittura su aree del Demanio. Infine è arrivato il terremoto. Poi la spazzatura, l’immigrazione clandestina e la droga». Un territorio che per pochissimo non ce l’ha fatta, che però conserva la memoria di quella quasi vittoria.

«È strano viverci e vedere i contrasti di una zona così diversa da qualsiasi altra. Molto simile alla Luisiana, ha paludi che riprendono possesso del territorio appena possono, è popolata per metà da neri e per metà da bianchi. Spesso in altri aree italiane si fanno le barricate in strada per 10 immigrati che devono essere accolti, lì abbiamo la maggior parte persone di colore senza documenti, perché negli anni si è creata un’enclave retta dalla mafia nigeriana. E comunque è una zona sbalorditiva, una distopia. Mi fa piacere che tra i valori del romanzo si parli del nostro modo di definirci antirazzisti spesso in maniera generica: è uno di quei territori capaci di svelare le nostre ipocrisie, che sono anche mie. Vedo tante persone che vivono in una situazione di apartheid di fatto e forse sono troppo superficiale quando mi definisco antirazzista: che cosa ho fatto nella mia vita di veramente antirazzista?», si chiede Mercadante, autoprocessandosi. Senza sconti la risposta: «Non ho mai fatto niente per alleviare la situazione in cui vivono».

Tutto ha inizio quando, a pochi giorni dal Natale, in uno dei canali viene ritrovato il corpo di una ragazza. Potrebbe trattarsi di una studentessa universitaria torinese, attivista e influencer da centinaia di migliaia di follower, venuta a indagare la condizione delle donne nigeriane. È scomparsa da qualche giorno. Scatta l’allarme sociale, tutta l’Italia la sta cercando.

Cigno è per caso il primo ad arrivare sul posto e come un dinosauro che prova a non estinguersi tenta il riscatto attaccandosi a questa storia con tutte le sue forze. Un protagonista dolente e maldestro, intelligente e individualista, a volte in bilico su un segreto pozzo di ferocia che però ha il coraggio di non fermarsi di fronte a violenza e ingiustizie. Domenico comincia un viaggio alla ricerca della verità che lo porta ad esplorare il cuore della mafia nigeriana ad avere a che fare con la camorra, che lo porta anche a considerazioni sul calcio malato così come della giustizia, cioè del «lato sconosciuto dei procedimenti penali, la camera di consiglio: l’aula, dove la giustizia prende la forma del mercato ortofrutticolo letteralmente della riunione condominiale».

Tutto raccontato sul filo dell’ironia, spesso malinconica e amara. «A un certo punto ho dovuto necessariamente dirmi: sta uscendo un romanzo troppo cupo, ci vuole una luce ogni tanto. E la luce che rende la lettura minimamente scorrevole è il grottesco. Sono cresciuto grazie alle lezioni che mi ha fatto indirettamente Eduardo De Filippo nel libro ‘Lezioni di teatro’: si preoccupava continuamente del fatto che c’era un pubblico a guardare e che dovesse in qualche modo accompagnarlo, intrattenerlo». E, va detto, alla fine ha dato vita a un romanzo che è pure divertente.

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