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Inevitabile ferocia del sopravvivere

Da Tuti un thriller storico e un viaggio nelle ferite della Storia e dell’anima

Paolo Gualandris

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12 Febbraio 2025 - 05:30

CREMONA - «Sopravvivere è sempre un atto feroce. Sii feroce. Non era il monito, era il testamento di un uomo che sapeva di dover morire e che le chiedeva di vivere pienamente, ma non di rinunciare alla propria integrità, di attraversare le avversità e i pericoli senza soccombere a compromessi morali. In quella regola risiedeva il suo amore». Anche se nella consapevolezza che nel campo di concentramento per sopravvivere è necessario «sentirsi bestia e non umano». Non c’è contraddizione nelle parole che Johann Maria Adami, triestino luminare della medicina rinchiuso a Dachau per non essersi piegato alle regole selvagge del nazismo, dedica prima di essere deportato alla figlia Ada, a sua volta medico e a sua volta ribelle al sistema.

AIUTO IL GRANDE MALE?

Padre e figlia sono protagonisti dello splendido romanzo storico ‘Risplendo non brucio’ di Ilaria Tuti, allo stesso tempo un thriller magistralmente costruito e un viaggio commovente e terrificante nella barbarie della Seconda Guerra Mondiale, nelle ferite della Storia così come in quelle dell’anima di chi quella barbarie è costretto a subirla. Tuti parla del suo romanzo con Paolo Gualandris.

«Il libro affonda le radici nella Seconda Guerra Mondiale tra la fine del ’44 e l’inizio del ’45. Un periodo drammatico perché lì si è scatenata la furia del nazifascismo. Però è anche un collage di storie personali. È stato l’unico modo per poter affrontare argomenti molto più grandi di me, ovvero di farli vedere da un punto di vista molto umano quindi molto vicino alle macerie sia fisiche che materiali».

È anche un thriller storico: ci sono due indagini diverse e parallele condotte da Johann e da Ada. Chi sono i protagonisti? «Innanzitutto sono persone con doppia cittadinanza, come le famiglie della Trieste di un tempo, per metà austriaci per metà italiani. Quindi con l’anima divisa anche culturalmente. È stata un’epoca di sfide etiche morali che molti professionisti si sono ritrovati ad avere. Il padre si oppone ai dettami del regime e finisce confinato come tanti altri oppositori politici in un lager da cui verrà liberato momentaneamente da un suo ex allievo che alla medicina, quindi al giuramento di salvare vite, ha preferito il giuramento al Reich, quindi la dedizione alla morte e alla sopraffazione. Si teme che un apparente suicidio nasconda in effetti invece un complotto ai danni di Hitler nel suo quartier generale. Solo lui potrà sciogliere questo enigma e quindi anche lì Johann si pone una domanda etica: posso aiutare il grande male? Devo farlo e scegliere la verità o anch’io devo scegliere la menzogna per un bene maggiore?».

TRIESTE CITTÀ TRAPPOLA

E poi c’è Ada. «Sua figlia, rimasta a Trieste, luogo-trappola per tanti motivi dove l’ombra del Reich, a differenza che nel resto dell’Italia era molto più presente e più opprimente proprio perché voleva annettere la città ai propri territori per avere accesso all’Adriatico. Ada sceglie di resistere ma in modo diverso da Johann, che secondo lei l’ha abbandonata. Lotta nell’ombra e sempre con questo sentimento quasi di dolore e di attacco nei confronti del padre». Essere una donna sola era molto pericoloso, perché un argomento di cui non si parla mai purtroppo nei dibattiti storici e anche nei libri di testo sono i famigerati stupri di guerra, arma usata sistematicamente per abbattere le popolazioni conquistate. Lei dovrà sciogliere un enigma nella Trieste molto cupa e molto feroce dell’epoca: l’uccisione di una ragazza, sua carissima amica, all’ombra della Risiera, unico sito italiano con un forno crematorio che riempie l’aria di cenere e terrore. Il campo di concentramento nel quale Johann è rinchiuso compare solo quasi come sfondo nel romanzo, la sua terrificante realtà però emerge nell’atteggiamento dell’uomo che, come dice lui stesso, vive la fatica di provare a sentirsi bestia e non umano per sopravvivere. «Una trasformazione inevitabile che viene accolta quasi con sollievo da Johann. Queste sfumature si trovano meravigliosamente descritte in ‘Se questo è un uomo’, Primo Levi ci fa capire che prendere distanza tra ciò che si è stati era necessario per non soccombere emotivamente e psicologicamente a quello che si era costretti a fare per andare avanti: chiunque esca vivo da qui deve aver rinunciato a qualcosa della propria integrità a meno che non sia un santo o un martire. Questo è stato il principio che mi ha guidata. Il fatto che il lager compaia appena è stata una scelta anche di pudore nel narrare a tanti decenni di distanza qualcosa che noi non abbiamo mai sperimentato e quindi non potremmo mai capire fino in fondo. Ho raccontato la trasformazione umana interiore necessaria per poter attraversare quella lunga notte». Una trasformazione che appartiene anche ad Ada, nel senso che lei è all’ombra diciamo della Risiera, per cui si rende conto man mano di che cosa sta succedendo là dentro.

IL SOLLIEVO DEL PERDONO

«E lei cambia nonostante tutto. Si avvicina idealmente a quel padre rispetto al quale è sempre stata critica proprio perché la sua scelta ha sfasciato non solo la vita di Johann ma anche la sua e quella della madre, quindi di tutta la famiglia. Il sistema di valori con il quale il padre e la madre l’hanno cresciuta la portano inevitabilmente a dover prendere decisioni che le fanno capire il perché il padre abbia agito in un certo modo. Alla fine riesce anche a perdonarlo e a perdonare sé stessa per quello che non ha fatto per capirlo».

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