24 Luglio 2024 - 05:20
CREMONA - «Chi osserva il tessuto vitale del nostro Paese si rende conto che accanto a una vera crisi di partecipazione democratica vi è anche una sete di politica, che mette in circuito sogni, visioni e progetti. Purtroppo assistiamo quotidianamente anche a un’opera teatrale all’italiana, che conosce un copione variamente interpretato: leader che alzano l’asticella delle promesse, elettori non pervenuti per più di metà degli aventi diritto, politica frammischiata con il marketing pubblicitario, tifosi e disaffezionati, innamorati e delusi...».
In poche parole il cardinal Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, traccia un quadro desolante della crisi che attanaglia la politica in Italia, ma che colpisce in tutte le democrazie occidentali. Lo fa nella prefazione al libro ‘Dare un’anima alla politica’ di don Bruno Bignami, cremonese direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, che prova a indicare vie d’uscita a questo quadro desolante con un testo quanto mai attuale, ricco di spunti di riflessione, ispirato ai valori universali del cristianesimo senza però correre il rischio di ingarbugliarsi in un’ottica autoreferenziale della Chiesa, della quale anzi mostra anche i lati oscuri del potere.
Una riflessione al tempo storica, morale e filosofica della quale parla nella videointervista ‘Tre minuti in libro’ online da oggi sul sito.
Partiamo da due frasi prese da pagine e contesti diversi ma che sono legate da un filo logico: «la politica è luogo per i santi» e «invece è ridotta a tecnica del potere». Lo stesso titolo indica una via per superare la crisi. «Insisto sulla necessità oggi di abitare in maniera diversa la politica e sui rischi e problemi che questo comporta, cioè il fatto che non c’è anima ma molta tecnicalità di potere. Non ci si rende conto che se ha un’anima la politica questi limiti li supera già in partenza e quando questa viene meno c’è un abbassamento di livello nello stile e nei contenuti».
Il libro è diviso in due parti. La prima è fondativa e mostra come il cristianesimo tocca e forma le coscienze. La fraternità ha profonde radici teologiche e si è affermata nel percorso della dottrina sociale della Chiesa. La seconda parte raccoglie testimonianze di vissuto o di pensiero sulla spiritualità in politica. Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira e David Sassoli raccontano, attraverso la loro esperienza in epoche diverse e con differenti sfumature del rapporto tra spiritualità cristiana e impegno civico.
Con la politica scaduta a estetica, spiega Bignami, il populismo «è un sintomo e non la causa di questo malessere. Non è solo una mia analisi ma frutto della riflessione molto lucida che fa papa Francesco con l’enciclica ‘Fratelli tutti’. Nel modello populista la persona non conta nulla, è solo strumento di logiche e di potere. Invece la visione autentica è la centralità della persona. Le istanze, i problemi della vita della gente sono quanto di più serio debba animare la politica non invece strumento da utilizzare per ottenere consenso personale. Sono modelli davvero molto diversi. Il populismo non fa altro che questo per generare consenso da capitalizzare per i propri interessi. Quindi il tema vero sono i problemi della vita della gente, quelli più ordinari e concreti; penso al tema della sanità, della scuola, della cultura, di una capacità di stare insieme a livello politico, alle scelte ambientali e di tutela di un Paese, dei suoi paesaggi, dei luoghi in cui dare respiro alle diverse composizioni sociali. E ancora, al rapporto tra aree metropolitane e aree interne. Tutte questioni pratiche, ma che chiedono una visione». Alla base della crisi della politica c’è anche la grande difficoltà di rapporto fra le diverse parti. Jacques Maritain dice «non ci può essere democrazia senza amicizia», cioè onora l’avversario che oggi invece viene odiato. «L’amicizia sociale è un modo di restare insieme in cui il pensiero anche diverso, altro, ha un valore. Nella misura in cui non c’è questo riconoscimento ovviamente, ne risulta uno scadimento del valore stesso della politica. L’amicizia sociale sta in piedi intorno al bene comune che è visto come un tutto. Ogni persona ha molti rapporti con gli altri più o meno approfonditi, però non possiamo essere amici di tutti, con buona pace di Facebook. Le amicizie vere sono poche, però possiamo essere amici di un tutto: questa è l’amicizia sociale e il tutto sono quelle condizioni che permettono a ognuno di poter vivere bene. Senza la libertà finiremo dentro logiche dittatoriali, la libertà è un respiro per tutti. Ecco l’amicizia sociale di Maritain nella tradizione cristiana è proprio questa condizione».
Il libro mette in luce anche un paradosso, cioè che alla crisi globale della politica e della democrazia fa da contraltare un aumento della voglia di partecipazione dal basso grazie a tutta una serie di attività sociali, molto sviluppate sia in Italia che nel resto del mondo. Forse questo attivismo è la risposta alla cattiva politica. «Potremmo vederla così, come sete di bene comune, che rimane a volte inconscia a volte sotto traccia però che rimane come qualcosa di fondamentale nel vivere sociale e che segnala però la necessità di tornare a una partecipazione. Nel mio testo faccio un’analisi anche molto spietata della politica attuale proprio perché tende all’autoconservazione e la conseguenza necessaria diventa quella poi che la gente smette di partecipare, si disinnamora, non si appassiona più. Perché vede che quello che può fare è semplicemente dare forza a chi ha le leve del comando. Invece c’è bisogno di considerare quelle esperienze appassionate di civile amicizia sociale. Pensiamo a cosa è stato negli ultimi decenni in Italia il terzo settore, una ricchezza straordinaria che ha generato benefici non solo economici ma anche sociali e relazionali. Ecco partire da queste esperienze come una ricchezza del tessuto sociale e che in qualche modo può diventare e rimane una ricchezza anche della politica».
In questo quadro viene spontanea una domanda secca: ci vuole di nuovo la Democrazia Cristiana o il ragionamento da fare è molto più ampio e va al di là del singolo partito? «Altrettanto secca è la mia risposta: ci vuole un ragionamento più ampio perché qualsiasi partito, anche se ha l’aggettivo cristiano nel nome, non è detto che non sia tentato da logiche di potere escludenti, che non consentono l’amicizia sociale. Il tema non è un partito cristiano ma è un modo cristiano di fare politica».
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