10 Luglio 2024 - 05:30
CREMONA - «Mi ha indotto a scrivere questo libro il fatto che lui è riuscito a truffare il Gotha della classe dirigente italiana. La domanda è: come mai costoro, solitamente a conoscenza del valore del denaro, sono caduti in un tranello tanto banale come il classico sistema Ponzi?». Dove «lui» è Massimo Bochicchio, autore di quella che viene definita la più grande truffa italiana, morto in circostanze molto misteriose alla viglia di un’udienza del processo in cui vestiva i panni dell’imputato, accusato di riciclaggio, abusiva attività finanziaria, truffa. Colto, fascinoso, sposato con Arianna Iacomelli, seconda a Miss Italia 1990, Bochicchio è riuscito a raggirare imprenditori, professionisti, ambasciatori, alti funzionari di Stato. E a tradire amici carissimi.
Così carismatico che molti dei truffati ancora soffrono verso di lui di una sorta di sindrome di Stoccolma, mentre altri non credono alla sua morte e sono convinti che prima o poi tornerà e restituirà loro quanto dovuto. Gigi Riva, giornalista d’inchiesta e noto inviato di guerra, con ‘Ingordigia, vita morte e truffe del broker dei vip’ ne racconta la storia. Combinando lo studio maniacale delle vastissime carte processuali a interviste originali, ricostruisce con il passo del thriller la parabola incredibile di un uomo capace di vivere per anni nel jet-set tra Roma, Londra, Capalbio, Cortina e i paradisi fiscali, erigendo attorno a sé una facciata di rispettabilità sottilissima eppure infrangibile. Una storia italiana che si dipana tra la fine del Novecento e due anni fa (è morto il 19 di giugno 2022) nella quale è stata mossa «una massa di denaro enorme, un miliardo e 800 milioni di euro mettendo a segno una truffa di circa 600 milioni di euro». Riva ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista ‘Tre minuti un libro’.
Il sistema Ponzi, lo ricordiamo, era stato ideato da un italiano in America all’inizio del secolo scorso: si offrono interessi incredibili a chi dà il denaro rimborsando i primi clienti con le entrate provenienti dai donatori successivi; così facendo si propaga la leggenda di qualcuno in grado di garantire grandi guadagni. Tutto fila finché la platea di clienti si allarga, ma se qualcuno chiede il rientro si scopre che era tutta una truffa, quindi a rimetterci sono gli ultimi entrati. L’ingordigia del titolo, dunque, è certamente quella del broker, ma anche quella dei suoi clienti, «soprattutto dei suoi clienti», precisa lo scrittore. Il racconto delle truffe di Bochicchio serve infatti anche a far luce su quell’ossessività all’accumulo tutta contemporanea, un’ingordigia di denaro che è ormai l’ottavo peccato capitale.
«Ha truffato professionisti romani, grandi imprenditori e personaggi del mondo del calcio come Antonio Conte, Marcello Lippi, Stephan El Sharawi oltre a procuratori sportivi importanti come Federico Pastorello, ma anche personaggi del calibro dell’ambasciatore italiano a Londra Raffaele Trombetta. Laureato in economia, quest’ultimo, aveva tutti gli strumenti per capire». Bochicchio aveva una enorme capacità di sedurre, nelle sue spire sono cadute centinaia di persone. La vera formula del suo successo sta tutta in tre parole: «C’ho un amico che...», vale a dire una volta fatti i primi clienti, poi è diventata una catena di Sant’Antonio fondata sul passaparola sussurrato nei salotti buoni della capitale, ma anche di Milano.
Bochicchio non era solo un bravo prestigiatore di parole e soldi, ma aveva anche coperture evidenti. Ricorda Riva: «All’inizio della sua carriera, era la fine degli anni Novanta, fu espulso dalla Consob per aver falsificato le firme di alcuni suoi investitori. Ma poi venne stranamente riammesso, e ciò lascia un’ombra di mistero. Ne ha avute anche successivamente, quando per esempio i suoi conti passavano per un colosso come Hsbc, seconda banca del mondo, dove nessuno vigilava. Coperture anche alla fine, quando è stato arrestato: nonostante fosse accusato di reati pesantissimi, gli è stato permesso non solo di avere gli arresti domiciliari ma perfino di godere di due ore di libertà e di usare il computer».
Come dire: gli hanno lasciato mano libera. Oltre a questo, Riva racconta anche come l’inchiesta giudiziaria abbia fatto emergere amicizie nella ’ndrangheta e nella mafia. Anche la sua morte è coperta di mistero. «Si è schiantato in moto il 19 di giugno 2022 contro il muro dell’aeroporto dell’Urbe a Roma, il mezzo ha preso fuoco e il cadavere è rimasto carbonizzato tanto che si è dovuto fare il Dna al fratello per accertarne l’identità. L’ennesimo enigma: come mai un latitante che torna in Italia non viene sottoposto all’esame del Dna, pratica obbligatoria?», si chiede Riva. Sono state fatte diverse ipotesi: suicidio, malore, attentato e poi c’è una quarta, molto più romanzesca ma a cui si sono aggrappati molti dei truffati per la quale Bochicchio ha inscenato anche la sua morte grazie a coperture nei servizi segreti e se la sta godendo in qualche posto caraibico.
Il dubbio resta. L’incidente è avvenuto lungo una strada perfettamente agibile in una giornata del tutto normale, durante un viaggio qualunque. «Chi sostiene l’ipotesi del suicidio non valuta il fatto che uno se vuole farla finita non si va a schiantare a 70 all’ora e con un casco integrale in testa. Pure il malore è difficile da sostenere perché la moto non ha sbandato ma si è praticamente rivoltata facendo un angolo di 90 gradi e lui è finito senza nemmeno una frenata contro il contro il muro. Il che farebbe supporre un sabotaggio». La moto ha preso fuoco, caso rarissimo in incidenti come questo: «Non solo, è andata completamente distrutta. Se a questo aggiungiamo i testimoni che dicono di avere sentito due botti prima che ci fosse l’impatto con il muro...». Dati di fatto e riflessioni sono contenute nel libro uniti a una lunga serie di documenti e testimonianze che lo fanno diventare un reportage, ma con l’atmosfera di romanzo giallo. Quando la verità può superare la fantasia. Tanto che Riva ha già ricevuto ben cinque offerte per farne serial tv.
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