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‘Io non uccido’, il dramma dell'artista: quanto vale il successo?

Un thriller comico lo scintillante esordio di Manuel Negro, con il suo alter ego al bivio della vita

Paolo Gualandris

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22 Maggio 2024 - 05:05

CREMONA - «All’inizio volevo fare il modello, ma al provino mi dissero che era troppo basso ‘ci dispiace ti mancano almeno 10 centimetri’. Allora ho pensato di fare l’attore porno, ma anche lì ‘ci dispiace, ti mancano 10 centimetri’. In sintesi la mia vita è questa, una continua rincorsa per colmare quei 10 centimetri che mi separano dalla felicità». La rincorsa di Eddy è anche quella di tutti noi che quotidianamente cerchiamo la realizzazione dei nostri sogni, magari l’abbiamo a 10 centimetri, ma non non ce la facciamo a raggiungerla. Eddy è il comico vegano (esattamente come lo è l’autore) protagonista di ‘Io non uccido’, thriller di Manuel Negro.

Già dal titolo si capisce che è un omaggio a testi comici che diventano letteratura, come ‘Io uccido’ di Giorgio Faletti, «l’ha scritto vent’anni fa immaginando che io nel 2024 avrei pubblicato Io Non Uccido. Si era portato avanti», si schermisce Negro. Il libro è anche un omaggio a grandi colleghi: i nomi di tutti i personaggi fanno riferimento ad artisti che hanno fatto la storia. Lo stesso Eddy richiama Murphy e De Filippo, Rascel, il soprannome dell’amico all’immenso Renato. Negro, che è anche autore televisivo e radiofonico avendo collaborato e partecipato a molti programmi tra cui ‘Striscia la notizia’ e ‘La sai l’ultima?’, parla del suo romanzo con Paolo Gualandris nella videointervista ‘Tre minuti un libro’.

Un giallo comico il cui protagonista è alla ricerca del proprio posto nel mondo e vive momenti bui aspettando il colpo che gli cambi la vita. «Nell’attesa ho paura e allora mi rifugio nei ricordi», il libro inizia proprio così. «Ho pensato a questa frase perché sono convinto che tutti noi spesso quando siamo timorosi del presente ci rifugiamo nei ricordi, perché le cose del passato sembrano sempre più belle». Eddy come tutti cerca di emergere, ma non ce la fa. Si esibisce in locali malfamati di provincia, posti dove c’è gente che, come scrive Negro «scandisce il codice fiscale a rutti, gente che ha bisogno di girare in coppia perché uno gli deve dire la battuta l’altro gliela deve spiegare, gente che ha difficoltà a ridere».

Non ce la fa più, vuole addirittura smettere, ma all’improvviso arriva l’occasione della vita: lo vogliono ospite al Festival di Sanremo. Quando tutto sembra andare per il meglio, arriva un personaggio misterioso e fantomatico, il Cacciatore di vegani, che rapisce la nonna di Eddy e altre persone che gli stanno a cuore per obbligarlo a rinunciare al contratto e quindi alle sue speranze di successo. Ma chi lo odia a tal punto? Forse il proprietario del nuovo bioparco, che Eddy ha criticato pubblicamente per amore degli animali? O i nemici che ha collezionato nel tempo a furia di battute sarcastiche al limite della provocazione? Deciso a non rinunciare al suo debutto in tv, si mette sulle tracce dei rapitori insieme al suo agente argentino, Buenafuente, al muscoloso Rascel, improvvisata guardia del corpo, e all’affascinante poliziotta Alex. I ricattatori però sembrano avere più di un asso nella manica e molta sete di vendetta: per Eddy, realizzare il suo sogno diventerà difficile anche se, con l’aiuto di vecchi e nuovi amici, molto coraggio e grandi intuizioni, non impossibile. Un’avventura rocambolesca tra le vie di Torino, scandita da scene esilaranti e paradossali analisi della modernità.


Con Eddy ci sono simpatiche canaglie. Come Rascel, «il suo amico tuttofare, uomo alto due metri, biondo, una specie di Ivan Drago, quello di Rocky 4; è alto, bello, con gli occhi azzurri, però non parla molto perché per contrasto è molto timido; però lui ha questa presenza molto forte che nella storia serve proprio per quanto riguarda l’azione perché Eddy è un comico e non sa battersi». Poi c’è Buenafuente, il suo agente italo-argentino, che parla mezzo spagnolo; infine la poliziotta Alex, dai capelli strani che fa battere il cuore del protagonista. A proposito di Eddy: «In lui qualche tratto autobiografico c’è: le sue debolezze in realtà sono anche le mie. E questa cosa un po’ mi imbarazza. Non so se lo sapete, ma i comici in generale sono in realtà personaggi riservati: in scena si è sempre in maschera e si parla di alcune cose anche superficiali, in un romanzo si trattano tematiche più profonde, più di sentimenti, che per noi, per me, sono così difficili da manifestare».

E poi ci sono la lunga gavetta e, come si dice spesso, la solitudine del comico. «La prima è infinita, non è cambiato nulla da quando ho iniziato. Il comico è sempre messo alla prova: come diceva Eduardo, gli esami non finiscono mai, ed effettivamente è così perché quotidianamente è come se si ripartisse da zero. A ogni spettacolo sei messo sotto esame. Altro che fama, spesso non mi riconosce nemmeno mia madre. Sono stato in un locale arrivando con largo anticipo, dico ‘buonasera sono qui per lo spettacolo, posso entrare?’. ‘Sì, sì passi pure, ma il comico ancora non c’è’. La solitudine del comico è molto presente, soprattutto prima di andare in scena, dietro le quinte, sei solo davvero. Devo dire che in scena sto meglio che nella vita, Forse perché lì ho il controllo totale, mi vengono dei super poteri. Nella vita invece sono un po’ l’ispettore Clouseau, faccio cadere le cose, non ho riflessi pronti. Diciamo che a volte è meglio stare in scena».

Emozioni e sensazioni, queste, narrate benissimo nel libro; Eddy ha un controllo così totale che la soluzione del mistero gli viene in testa nel pieno di uno spettacolo. «Volevo che la svolta iniziasse a esserci proprio sul palcoscenico, luogo in cui suoi sensi si acuiscono, e poi la soluzione finale deriva proprio da mondo dalla comicità. Ho voluto far vedere come nella vita può essere utile anche per risolvere un giallo». Il comico è abituato alle battute, all’uso del linguaggio molto veloce, il romanzo per quanto ricco di freddure, invece è tutt’altra cosa. «Ho messo battute di tutti i tipi, però stavolta sono inserite nel contesto di una storia. Questa è la base del lungometraggio comico, chiamiamolo così, che fu inventato da Charlie Chaplin. Prima di lui c’erano le comiche, piene di ruzzoloni che facevano ridere, lui ha avuto l’idea geniale di costruire vicende drammatiche che diventano da ridere proprio grazie alla sua presenza, con scene irriverenti e paradossali». Proprio come nel suo romanzo.

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