15 Maggio 2024 - 05:30
CREMONA - Riportare le storie a casa. È il compito assolto da Luigi Dal Cin con ‘Sulla porta del mondo’. Cento libri di narrativa per ragazzi alle spalle, vincitore dei premi Andersen e del Troisi alla carriera, docente alla scuola di scrittura Holden nonché all’Università di Ferrara e all’Accademia delle Belle Arti di Macerata, l’autore parte da un ricordo molto intimo, una valigia di cartone.
Quella che nonno Lorenzo riempì con poche cose per partire alla volta dell’Australia. Un contenitore della memoria che oggi lo accompagna in tutte le sue performance, da lì escono gli oggetti di scena. «Dentro c’era tutto quello che il nonno aveva potuto portare con sé, poche cose, qualche indirizzo utile all’arrivo, cartoline da spedire una volta giunto alla meta. Ho pensato: il nonno sarebbe felice se la utilizzassi. A volte i bambini mi chiedono da dove viene e la domanda è l’occasione per raccontare una storia rimossa all’inizio sicuramente per vergogna, perché raccontare di emigrazione vuol dire parlare di miseria, di ignoranza».
«Il progetto nasce da una constatazione fatta all’interno del mondo della scuola, che frequento molto incontrando decine di migliaia di alunni all’anno. In questi ultimi anni è stato fatto un grande sforzo per accogliere le culture di arrivo e nel tentativo di valorizzarle. Mi pareva però che mancasse l’altro piatto della bilancia: i ragazzi nati in Italia. Non si può dire loro semplicemente ‘arriva un nuovo compagno che viene da lontano, siate gentili’».
La gentilezza, spiega Dal Cin, non ammette l’imperativo, così come non lo ammettono i verbi amare, sognare o leggere, per dirla citando Daniel Pennac. «Però se comprendiamo che l’emigrazione verso Paesi anche molto lontani fa parte della nostra storia, forse lo sguardo nei confronti di chi arriva può cambiare, perché diventa tutto più familiare». Il libro è diviso in capitoli, uno per ogni regione italiana, evidenziando i motivi sociali, economici e culturali che hanno portato alla diaspora. «Per ogni realtà ho raccontato una storia emblematica, disperata o felice, perché ce ne sono state anche così».
Ne è uscita una narrazione che non ti aspetti, con storie esemplari, alcune meravigliose, scritte però senza nascondere mai l’aspetto del dramma di abbandonare tutto e tutti e partire alla ventura. Come ne ‘Il manifesto rosa’ per l’Abruzzo, ‘La musica girovaga’ per la Basilicata, ‘Prosciutto sulle Ande’ per l’Emilia Romagna, ‘Vite nuove e sogni infranti’ per il Friuli Venezia Giulia, ‘Italiani in miniera’ per il Molise, ‘Balie e modelli, splendori e lacrime’ per il Lazio. Per la Lombardia il titolo è ‘Ecco che cosa ho imparato in America’.
«Questa è la frase di una donna che scrive ‘Dopo tutto è per questo che amo così tanto l’America. Ecco cosa ho imparato in America, a non avere paura’. Ho cercato di trovare vicende umane che la narrazione ufficiale ha dimenticato, storie di donne e bambini. Mogli e madri che inizialmente partivano per raggiungere il marito, ma anche che sceglievano di farlo autonomamente, mostrando un enorme dose di coraggio. Ci sono poi poi le vicende drammatiche di bambini dati in affitto a persone che poi li portavano a lavorare molto lontano, nelle famiglie, nelle stalle, come spazzacamini perché erano piccoli piccoli e riuscivano quindi a infilarsi su per la cappa di case in Svizzera, Austria, Germania, con conseguenze facilmente immaginabili per la salute dei loro polmoni; e ancora bambini girovaghi a cui veniva insegnato a suonare strumenti e a chiedere l’elemosina. Lo sfruttamento dei più deboli, anche questo mi interessava raccontare».
Minori e adulti vittime di un sistema violento e bugiardo. Significativo il capitolo sul Veneto ‘La tragica truffa del regno che non c’è’. «Una storia tra le più drammatiche della emigrazione italiana. A cavallo tra ’800 e ’900, il bretone Charles Marie Bonaventure du Breil, marchese de Rays, decise di elevarsi a re. Non potendo esserlo di Francia, individuò il suo regno in una sperduta isola delle Samoa, la acquistò per farne la Nuova Francia. Aveva bisogno di sudditi e quindi, come già fatto da altri reclutatori di mano d’opera, emanò un bando promettendo terreni fertili, ricchi di acqua, e grandi guadagni. Chi lo seguì si trovò invece di fronte a una situazione terribile: un territorio ostile, con le fonti d’acqua lontanissime e, soprattutto popolazioni indigene cui queste terre erano state strappate».
Dal Cin ha scelto lo stile del romanzo di avventura, un modo per coinvolgere i lettori in una grande umana genesi. Una narrazione rigorosamente documentata grazie a una ricerca storica approfondita con l’aiuto di Fondazione Migrantes. Una ricostruzione a volte ‘indigeribile’: è difficile restare indifferenti di fronte a bambini e donne e uomini che a quel tempo valevano zero. «Quindi il diario di una donna merita di essere conservato, così come va onorata la memoria delle storie dei bambini messi in carcere per accattonaggio a Parigi. Ho trovato i documenti formali del loro arresto, carte che fanno spavento. Il commissario parigino che li aveva presi in custodia scriveva nel suo rapporto che rinchiuderli era inutile, perché una volta usciti sarebbero tornati a fare accattonaggio. Verso di loro non c’era alcuna preoccupazione pedagogica».
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