20 Dicembre 2023 - 05:20
CREMONA - «Non avendone, fortunatamente, esperienza diretta ma essendo figlia di quella generazione di uomini che ci sono andati, penso che in guerra ci sia soprattutto una impressione di enorme impotenza davanti al disastro. L’unica cosa che si può fare è badare al quotidiano, cercare di correggere quello che si può. E anche ogni singola morte in un certo modo è un ologramma, è un modo di rappresentare le morti che sono a milioni in numero nei campi di battaglia. Quindi come investigatore per lui il piccolo risultato di assicurare alla giustizia il colpevole di un singolo omicidio in qualche maniera non risolve il problema, ma diminuisce sicuramente l’angoscia che prova da ufficiale tedesco, da soldato di uno Stato infame, che si trova combattuto contro la sua stessa ideologia e anche spesso contro gli ordini ordini ricevuti. Le investigazioni che vanno a buon fine gli permettono cioè di andare avanti con una qualche speranza di giustizia».
Potrebbero bastare queste poche parole della sua autrice Ben Pastor per inquadrare Martin Bora, il colto e tormentato ufficiale-detective che durante la seconda guerra mondiale indaga su delitti e misteri mentre intorno dilaga l’orrore della storia. E per capire il perché del suo accanimento nel trovare il colpevole di un singolo delitto mentre attorno a lui i soldati cadono a decine di migliaia. Al suo più noto e amato personaggio stavolta l’autrice dedica otto racconti, raccolti nel libro ‘La Finestra sui tetti’, ambientati in anni e fronti di battaglia diversi, compreso quello italiano del post armistizio: in ciascuna storia c’è un enigma da sciogliere, mentre alla suspense della narrazione - sostenuta da uno stile originalissimo e da una minuziosa ricostruzione storica - si intreccia l’evoluzione della psicologia dell’eroe, sempre più dilaniato tra la fedeltà al giuramento alla Patria e la repulsione per gli orrori del nazismo.
L’autrice ne parla nella videointervista per la rubrica ‘Tre minuti un libro’ online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it. Martin Bora, di famiglia colta e aristocratica, dietro l’apparente imperturbabilità cela una natura curiosa e appassionata, ma soprattutto una profonda pietas che inevitabilmente lo fa finire nel mirino di SS e Gestapo. Deve quindi fronteggiare nemici palesi e occulti, i tormenti della guerra e quelli di demoni interiori che si ribellano alla ferocia hitleriana.
Ben Pastor - nata in Italia, trapiantata negli Usa, appassionata di storia, archeologia e psicologia - «rifiuta di espellere dalla tessitura dei suoi intrecci il disordine del mondo», annota nell’introduzione il curatore della raccolta, Luigi Sanvito: «Sicché dai suoi gialli non emerge solo il piacere ‘enigmistico’ dell’investigazione che infine approda alla verità; affiora anche la vita, in tutta la sua ambigua commistione di bene e male, splendori e viltà, ferocia e compassione. Se l’omicidio è un grumo oscuro e il suo disvelamento un raggio di luce, il mondo, la condizione umana, rimangono pur sempre immersi in una zona d’ombra».
È questo anche il filo conduttore degli otto racconti. Ne La finestra sui tetti, Bora si trova nella Praga martoriata dal nazista Heydrich e dai suoi piani di genocidio: viene chiamato a investigare su un delitto e contemporaneamente dovrà far arrivare al servizio segreto dell’esercito le prove dei misfatti compiuti contro la popolazione ceca. Sul filo del rasoio, «la sua pietà per l’uomo aumentava in proporzione alla ferocia della guerra, intimandogli di destreggiarsi tra ordini e direttive con l’impeccabile accortezza di una spola in mani capaci».
Quattro delle storie sono ambientate nell’Italia del 1943-44, dove i tedeschi in ritirata devono fronteggiare gli Alleati e la Resistenza. In Bocca d’inferno Martin indaga sul sequestro di una giovane e avvenente maestra vedova di guerra, caso che poi si trasforma in un sanguinoso pluriomicidio. L’ufficiale non rinuncia a trattare con umanità i prigionieri né a tenere in ordine impeccabile la sua divisa, mentre le difese tedesche crollano una dopo l’altra. Combatte sotto le insegne tedesche, «eppure spesso gli sembrava che soldati come lui fossero carta straccia, appallottolata in mano a qualcuno e in procinto di essere buttata via». È un uomo giusto dentro una divisa sbagliata. Deve quindi affrontare un delitto passionale che coinvolge un prete, le guardie di Salò, una vedova. Un gioielliere a Littoria ucciso per una spilla dal nome allusivo, il nodo d’amore. Un vecchio su un treno, in Toscana nel 1944, che racconta dell’omicidio di due amanti.
Una menzione particolare merita Il giaciglio d’acciaio, ambientato durante uno dei più grandi massacri della storia bellica: l’assedio di Stalingrado, quando alla fine del 1942 le truppe tedesche da assalitrici divengono preda dei militari russi fino a rimanere isolate e schiacciate. Nel Natale di quell’anno il maggiore Bora è al comando di uno sparuto manipolo di soldati asserragliati nelle rovine di un ex ospedale, senza rifornimenti né speranze di salvezza. Questo è il solo racconto senza un omicidio su cui investigare, ed anche, non a caso, l’unico narrato da Martin in prima persona.
In un clima che va «oltre la disperazione», in cui i militari tedeschi si suicidano o finiscono sull’orlo della follia, il vero mistero - angosciosamente attuale - è come il mondo possa precipitare in tali abissi di disumanità. Bora, al buio dei sotterranei in cui lui e i suoi uomini sono rintanati come topi in gabbia, si aggrappa ai ricordi felici e in questi trova la forza per resistere, fino a progettare un ardito, folle tentativo di fuga dall’accerchiamento.
In pagine di dolente bellezza, dove l’atrocità si fonde con la poesia, Ben Pastor risolve forse l’enigma più grande: come l’attaccamento alla vita e alla speranza possa prevalere, nonostante tutto, di fronte al baratro. La scrittrice ricorda a noi tutti «che con le complicazioni che la vita ci presenta di volta in volta è davvero necessario saper essere resilienti saper avere un attaccamento alla speranza che ci concede di andare avanti. Senza speranza non si va molto lontano. Fortunatamente non sempre pietà è morta. Tuttavia, quando prevale, la ferocia chiama ferocia e quindi la pietà è un’altra di quelle ricchezze mobili tanto rare e difficili ad acquistare».
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