11 Dicembre 2024 - 05:30
CREMONA - Tutto inizia da una frase: «Avvocato, sono nelle sue mani». E tutto si conclude con il momento probabilmente più drammatico di ogni processo. No, non le arringhe e neppure i testi dell’accusa ma l’attesa della sentenza, «uno dei più duri e difficili da digerire per l’avvocato e il suo assistito». Michele Navarra, avvocato scrittore con alle spalle processi che hanno fatto la storia dell’Italia contemporanea come quelli sulla strage di Ustica e sulle imprese criminose della banda della Uno bianca, con il legal thriller ‘Per non aver commesso il fatto’, edito da Fazi, torna sul luogo del... delitto: il processo penale italiano, «che per quanto è avvincente non ha nulla da invidiare a quello anglosassone tanto raccontato da cinema e serial televisivi».
Offre, come ci ha ormai abituati, una storia intrigante sotto il profilo narrativo, con i necessari colpi di scena, ma sopratutto racconta i pensieri, i dubbi anche morali, le emozioni, i sudori e le delusioni di un avvocato che tiene nelle sue mani il destino di una persona ed è alle prese con un sistema giudiziario ricco di ombre e luci. «Il mio obiettivo non è solo raccontare una storia ma descrivere innanzitutto quello che fa davvero un avvocato italiano. Che non è affatto un prosaico propenso ai bizantinismi votato alla burocrazia. Oggi questa figura è vista molto negativamente, accostata alla persona che difende quasi ne fosse addirittura complice. Invece nel suo animo si agitano emozioni contrastanti. Ho voluto raccontare la difficoltà di prendere decisioni che vanno poi a incidere nel bene e nel male e in modo sensibile nella vita di una persona». In estrema sintesi, ecco la storia. Un’auto viene ripescata dal lago di Bracciano, alle porte di Roma, e nel bagagliaio c’è il cadavere di Giuseppe Finotti, misteriosamente scomparso tempo prima. Le indagini, grazie alle dichiarazioni di un testimone oculare costretto a parlare per evitare di tornare in carcere a scontare un ergastolo, conducono all’arresto di Carlo Baldini, noto agente immobiliare della capitale. Come movente la gelosia, perché Finotti, secondo il suo accusatore, sarebbe stato l’amante della bellissima Agnese Baldini, moglie di Carlo. La difesa dell’imputato verrà affidata ad Alessandro Gordiani, giovane avvocato da poco tornato sulla scena giudiziaria, dopo un periodo di esilio autoimpostosi per cercare di superare una profonda crisi professionale ed esistenziale. Gordiani, con l’aiuto della bellissima collega Patrizia, dovrà fare i conti con le sue idiosincrasie, con il suo perfezionismo e le sue debolezze, per cercare di superarli e arrivare preparato al processo. «’Avvocato, siamo nelle sue mani’ è una frase che carica il legale di un fardello. A me personalmente fa piombare nell’ansia più totale. Decidere una semplice cosa come far sentire o no un testimone, far interrogare il proprio assistito o non farlo sono tutte decisioni che non sai a cosa potranno portare. Puoi soltanto ipotizzarlo e alle volte ti trovi costretto addirittura a cercare di convincere il tuo assistito sulla bontà di una scelta di cui nemmeno tu sei convinto». Nella maggior parte dei casi, scrive Navarra, l’avvocato desidera quasi disperatamente che il suo assistito sia davvero innocente. Questo lo mette più in serenità o è fonte di ulteriore responsabilità?
«Michael Connelly, autore molto più noto di me, ha inventato un l’avvocato Mickey Haller, The Lincoln Lawyer, il cui mentore diceva sempre che è molto meglio difendere un colpevole piuttosto che un innocente perché in caso di sconfitta nel processo l’imputato ha quello che si merita. È difendere un innocente che ti carica di una responsabilità enorme, così almeno il tipo di avvocato che ho immaginato, un professionista pieno di ideali. Io lo sono ancora oggi, a 56 anni. Se così è, da un lato è un bene perché ti fa stare più tranquillo con la tua coscienza, dall’altro è un male perché la responsabilità si amplifica. Sai di avere di un innocente nelle tue mani e quindi ogni tuo errore si può riverberare sulla sua vita futura». Navarra spruzza qua e là un senso di smarrimento rispetto al funzionamento della Giustizia. «Nei miei romanzi ho descritto tante tipologie di giudici, sia inquirenti, quindi pubblici ministeri, che giudicanti. Non auguro a nessuno di finire all’interno del meccanismo e, lo confesso, in certi casi penso che che ci vorrebbe una maggiore capacità di ascolto da parte dei nostri interlocutori che dovrebbero imparare a vedere l’avvocatura non come un nemico. Questa situazione si va esacerbando nel tempo, anche per colpa della mia categoria. Parlo dell’incapacità degli avvocati di ribellarsi. Ecco perché lo faccio fare a un avvocato di carta, Gordiani, che è molto più coraggioso di me».
Michele Navarra racconta la situazione psicologica e umana del suo cliente dopo che è stato chiuso in carcere, si ritiene ingiustamente. «Chiedo scusa in anticipo della mia banalità, ma mi viene in mente la vicenda di Enzo Tortora, un emblema. Oggi tutti abbiamo la certezza della sua innocenza e del fatto che in carcere si sia ammalato. Una prova da lui affrontata con grandissima dignità. Per fortuna non ho visto tantissimi Enzo Tortora, ma qualcuno sì. Pensate a una persona come lui cosa deve aver provato quando sono andati ad arrestarlo alle 5 di mattina, gli hanno fatto le fotografie, lo hanno sbattuto in prima pagina ed è stato condannato da innocente». Anche contro tutto questo lotta il suo Alessandro Gordiani.
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