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Un sogno sfumato nel sangue

Romanzo-inchiesta di Calandrone: viaggio nei sentimenti della donna vittima. E anche dell’uomo carnefice

Paolo Gualandris

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28 Agosto 2024 - 05:30

CREMONA - Maria Grazia Calandrone torna sul luogo del delitto, che ancora una volta è un una tragica storia di violenza di genere, stavolta finita però con la morte dell’uomo-aguzzino. Lo fa con ‘Magnifico e tremendo stava l’amore’, libro che in qualche modo fa il paio con il precedente ‘Dove non mi hai portata’. Si salta dal 1965 - con la vicenda dei suoi genitori che si gettano nel Tevere perché la loro relazione non poteva avere futuro né dignità e perché c’era lei, neonata da salvaguardare - al 2004 in cui succede un fatto di cronaca nera che sconvolge l’Italia. Quarant’anni in cui l'Italia è cambiata molto.

UN FINALE SORPRENDENTE

«A modificare lo scenario nel frattempo era arrivata la legge sul divorzio, la cui mancanza ha purtroppo causato il suicidio dei miei genitori, che non esito a definire omicidio sociale. Nel senso che loro non potendosi dividere dai coniugi precedenti ed essendo stata mia madre denunciata dal marito, hanno avuto una vita impossibile, non potevano lavorare, mantenermi, iscrivermi a scuola. La vicenda di cui mi occupo ora che è il caso di Luciana Cristallo e Domenico Bruno. Luciana che, come mia madre, viveva in un rapporto coniugale violento. Si separerà dal marito solo dopo molto tempo, per una questione ovviamente molto complessa come sono tutte le situazioni di violenza domestica, intreccio di sentimenti, di comprensione di compassione».
Tutti gli amanti giurano che il loro amore è diverso da quello degli altri. Specie all’inizio, quando la risacca della vita non ha ancora intaccato il sentimento. Poi le cose cambiano, e le storie tendono a somigliarsi. Ma non questa, che ha avuto un finale sorprendente.

DODICI COLTELLATE

Si tratta di una sentenza rivoluzionaria, come ricorda Calandrone: «Assolta per legittima difesa dopo 8 anni e mezzo di battaglie in tribunale. Ho avuto accesso agli atti del processo, centinaia di migliaia di pagine dove ovviamente l’accusa parla di premeditazione perché l’ultimo incontro avviene nella casa, una piccola mansarda di 30 metri quadri, dove finalmente Luciana si era riuscita acquistare come spazio privato suo e di tre dei quattro figli. Lo Stato ha voluto dare credito alla sua versione ed effettivamente io, che non sono un magistrato, dico che se avessero premeditato, lei con il nuovo compagno, questa uccisione l’avrebbero fatta molto meglio di così». Riavvolgiamo il nastro. Il 27 gennaio 2004, dopo circa vent’anni di violenze, Luciana uccide con dodici coltellate l’ex marito e, insieme al nuovo compagno, ne getta il corpo nel fiume Tevere. Il 24 giugno 1965 mia madre Lucia, dopo anni di violenza subita da parte del marito, getta sé stessa nel fiume Tevere, insieme al suo nuovo compagno, padre della scrittrice. «Il motivo della mia ossessione è evidente».

LA MIA OPERA SCORRETTA

«Mi è parso allora utile, anzi necessario, rintracciare negli atti processuali le motivazioni umane e legali di una sentenza tanto d’avanguardia. L’analisi della storia e dei suoi esiti ha finito per generare un libro che ha sorpreso per prima chi l’ha scritto, essendo diventata un’opera scorretta, che non assume esclusivamente il punto di vista della vittima, si chiede anzi chi dei due sia la vittima, quale patto leghi i protagonisti e in quale oscurità delle persone quel patto abbia radicato. Insomma, ho cercato di comprendere profondamente le ragioni della violenza». E forse, chissà, ha lavorato proprio per emanciparsi da uno sguardo semplice sulla violenza. Non c’è dunque condanna, ma esposizione, quando possibile poetica, di quel magnifico e tremendo amore.

CAPIRE E FARSI AIUTARE

Una sentenza figlia di una sensibilità diversa sia della pubblica opinione che da parte della magistratura, che però ancora fatica a prendere piede, nel senso che assistiamo quotidianamente a situazioni di questo tipo: «Il problema fondamentale è che quando un uomo è tanto sopraffatto dalla propria furia, obnubilato - Domenico insegue Luciana perfino in un comando di polizia - non si rende proprio più conto della realtà. Quindi di fronte a questo stato psichico risulta inefficace ogni ingiunzione di tribunale che vieta all’uomo di avvicinarsi alla sua vittima. Allora quello che mi permetto di suggerire è la necessità di una educazione al rispetto, ai sentimenti ma, soprattutto, alla consapevolezza: esistono centri di ascolto per uomini abusanti ai quali ci si può rivolgere se ci si sente scivolare per quella china, che io descrivo per pagine e pagine, dalla quale è difficilissimo risalire una volta precipitati. Quando si entra in un’ossessione è difficile senza aiuto riuscire a riemergere. Ecco, se ho dato uno schiaffo, sono diventato geloso in maniera ossessiva per cui di notte io mi alzo per controllare il cellulare di mia moglie, della mia compagna: devo capire che è ora di fermarmi, di farmi curare».

LE RAGIONI DELLA VIOLENZA

Come già fatto in ‘Dove non mi hai portata’, Calandrone anche stavolta procede su un doppio registro nella narrazione, oltre a leggere tutti gli atti contemporaneamente fa un’operazione di umanità, facilitata in questo compito dall’essere poetessa. Racconta i sentimenti, le sensazioni della vittima, in questo caso aiutata dal suo diario. Ma poi, come detto, va oltre, cerca di capire le ragioni dell’aguzzino, non per assolverlo, ma per capire. «Credo che sia l’unico modo per avvicinarsi ai fatti della vita. In particolare quando si tratta di violenza domestica è inutile essere ideologici. Ero convinta quando ho cominciato a scrivere, che avrei preso decisamente posizione per lei. Viceversa, quando per forza di cose mi sono dovuta interrogare sul perché si fosse arrivati a quella situazione senza uscita, ho dovuto prendere in considerazione la vita e le motivazioni, non dico le ragioni, di Domenico. E mi sembra di averle comprese. Non che per questo si può giustificare il fatto che lui alzasse le mani e minacciasse di morte e perseguitasse il nuovo compagno della sua ex moglie. Credo che questo sia l’unico modo per affrontare storie di questo genere se si vuole arrivare a comprendere perché un uomo arriva a fare così e perché una donna si rassegna a stare in una situazione del genere per decenni. Una donna, si badi bene, che non è lo stereotipo della donnicciola abusata, ma forte, intraprendente, un’imprenditrice con una bella famiglia alle spalle, con delle amiche».

INTRECCI E CHIAROSCURI

Calandrone restituisce una vicenda in cui i chiaroscuri sono così tanti e intrecciati da impedirci una lettura unica. Come in tutte le storie d’amore. Resta la domanda finale: «È vero che al primo sguardo, sappiamo sempre e immediatamente cosa aspettarci dall’altro?».

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