21 Agosto 2024 - 05:25
CREMONA - Santo o assassino? «È la grande domanda del romanzo, nel senso che parto da una fonte storica che descrive Giovanni Zimisce in maniera ambivalente: grandissimo imperatore bizantino capace di buon governo ma, allo stesso tempo, come raccontano i cronisti medievali bizantini, anche di atti inaccettabili come stragi, omicidi, congiure. Mi sono chiesta com’era veramente un uomo in grado di far coesistere questa doppia identità. Ha eroso il suo immenso patrimonio per darlo ai poveri, una specie di Robin Hood bizantino, ma allo stesso tempo era terrore dei nemici e anche un po’ degli alleati. Come scrittrice mi sembrava una sfida molto intrigante».
A parlare è Sonia Aggio, che con il romanzo ‘Nella stanza dell’imperatore’ è stata semifinalista al Premio Strega. È la storia di un soldato arrivato alle massime cariche dell’impero, un romanzo storico e biografia romanzata. Ne parla nella videointervista ‘Tre minuti un libro’ online da oggi sul sito. Un romanzo anche psicologico perché ricostruisce le sensazioni, le emozioni, dell’uomo, i suoi pensieri più intimi.
«È questa la parte che mi affascina di più, in genere vediamo il personaggio storico come una macchietta. Qui abbiamo un imperatore, un uomo potente e autoritario, con una sua solennità, una figura monolitica. Quando si racconta nei libri di storia una figura così non si descrive una persona, ma un simbolo. Invece secondo me la storia è bella perché contiene persone, non simboli. A interessarmi è stata la grande parabola di Zimisce, che da soldato semplice si trova a raggiungere la carica più alta. Una trasformazione che ti cambia anche dal punto umano. Cosa diventa un uomo che deve abbandonare la propria umanità per rappresentare un simbolo?», mi sono chiesta.
«Costantinopoli è la madre prima tradita, poi persa e infine dimenticata dall’Europa. Aggio le restituisce il volto e la storia con cura e amore in un romanzo al contempo delicato e vigoroso», ha detto lo scrittore Paolo Malaguti, centrando alla perfezione l’atmosfera.
Un libro avvincente e denso di colpi di scena con il quale ricostruisce anche la realtà quotidiana di una delle dominazioni più estese che il mondo abbia mai conosciuto.
Un romanzo storico impeccabile, dal sapore di un classico che, con una trama ricca di intrecci, intrighi, amori e terribili inganni, e uno stile coinvolgente e ricercato, conduce il lettore tra le scintillanti stanze dei palazzi imperiali mostrando il volto segreto delle città d’Oriente. Ed eccola, in breve, la storia di Giovanni Zimisce. Cresciuto con gli zii materni, i Foca, è diventato con il tempo un valoroso condottiero per l’Impero bizantino accanto allo zio Niceforo, il generale più brillante della sua epoca, e a Leone Foca. La guerra è tutto ciò che gli rimane: sua moglie è morta di parto e i parenti del padre, i Curcuas, lo considerano un traditore. Quando ormai sembra che Giovanni non abbia più altro scopo se non combattere al fianco dei Foca, tre streghe gli profetizzano che diventerà imperatore. Ma come è possibile, visto che sul trono ora siede Niceforo, l’uomo che l’ha cresciuto e per cui darebbe la vita? Quando proprio Niceforo gli volterà le spalle e l’affascinante Teofano, moglie dell’imperatore, busserà alla sua porta, Zimisce dovrà decidere: restare fedele al suo mentore assecondando i principi con cui è cresciuto, o prenderne il posto, accettando definitivamente il proprio fato? Per raccontare una vita da predestinato, Aggio impiega l’espediente delle Tre Streghe che in più riprese lo tengono ancorato all’obiettivo finale.
«Una delle grandi ispirazioni per questo romanzo è il Macbeth, nel senso che la trama della tragedia scozzese e la vita di Zimisce hanno grandi punti di contatto. Entrambi sono soldati ricchi e potenti, ben voluti dai loro seguaci, e a un certo punto decidono di fare quel passo in più che ti porta nel territorio del proibito, del violento. Le Tre Streghe come filo conduttore rispondeva anche a una caratteristica del romanzo storico che io trovo sempre affascinante: stai raccontando una storia di cui si conosce già il finale. Pertanto hai questo senso di destino incombente. Quindi se io so già che Zimisce diventa imperatore, come faccio a raccontarne l’epopea? Tutta questa storia di ambizione e di tradimento si sviluppa perché lui continua a sentire la voce interna che gli ricorda che può diventare imperatore. È molto crudele da parte delle streghe perché non fanno incantesimi, ma semplicemente svelano un desiderio oscuro che Giovanni non sapeva di avere».
Sulla sua vita incombono un’affermazione e una domanda. La prima è ‘il nostro dovere nei confronti dell’impero è l’unica cosa che conta’; la seconda è ‘cosa sognano i bambini dell’Anatolia?’.
«Parto dalla domanda, questione che si pone per tutta la vita, un dubbio rivelatore in quanto non si chiede ‘mai cosa sogno io?’ ma si identifica con i suoi conterranei, con gli altri bambini della frontiera. Zimisce non ha mai il coraggio di chiedersi che cosa vuole davvero. Lui ragiona sempre con il noi e così si difende da se stesso. E poi c’è l’affermazione, che in realtà gli viene imposta, nel senso che sono gli zii che lo crescono, i suoi comandanti, a dirgli che l’impero è l’unica cosa che conta. Non c’è nessuno spazio per il sentimentalismo: il tuo amico che muore, la tua famiglia che si distrugge... nulla è importante perché noi siamo degli strumenti per l’impero. E ciò diventa la giustificazione per compiere atti terribili come massacrare prigionieri, ordire congiure».
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