14 Febbraio 2024 - 05:30
CREMONA - «Dalla scrittura-inganno quale era per il contadino e quale è stata per me stesso, sono arrivato alla scrittura-verità, e mi sono convinto che, se la verità ha per forza di cose molte facce, l’unica forma possibile di verità è quella dell’arte. Lo scrittore svela la verità decifrando la realtà e sollevandola alla superficie, in un certo senso semplificandola, anche rendendola più oscura, per come la realtà stessa è. C’è però una differenza tra quest’oscurità e quella dell’ignoranza: non si tratta più dell’oscurità e dell’inespresso, dell’informale, ma al contrario dell’espresso e del formulato. Ecco perché utilizzo spesso il ‘discorso’ del romanzo poliziesco, questa forma che tende alla verità dei fatti e alla denuncia del colpevole».
Non è un caso se la terra che ha cresciuto Leonardo Sciascia, autore di queste parole, è la stessa in cui è maturato anche Domenico Cacopardo Crovini (il secondo cognome è un tributo alla famiglia materna), consigliere di Stato in pensione che dopo 18 romanzi ambientati in Sicilia con protagonista il magistrato Agrò, approda in piena pianura Padana con una storia significativamente intitolata ‘Pas de Sicile’, niente Sicilia. «Ho vissuto 30 anni in Emilia, a Parma, ma sono per parte di madre di Monticelli d’Ongina, i miei nonni e anche mia madre andavano a fare la spesa a Cremona, mai a Piacenza». Ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista per ‘Tre minuti un libro’. Viene dunque al nord, nella Pianura Padana, a due passi da Cremona (ripetutamente citata nel romanzo, così come Crema e dintorni) con una storia che è un giallo scritto in una maniera che anche nell’equilibrio tra stile e trama in qualche modo ricorda Sciascia. È una storia di vita vissuta, che porta il lettore a indagare nelle bassezze dell’animo umano.
Ricorda l’autore: «Anni fa mi è capitato di dover partecipare a un libro collettivo e dare un mio contributo celebrativo una ricorrenza analoga a quella di cui parlo nel libro e mi sono ricordato di una persona che avevo conosciuto come grande filantropo. Ho chiesto ai familiari in vita, cioè i figli, qualche contributo ricevendone inizialmente un rifiuto, anche se poi poi hanno cambiato idea. Insomma comunque scrivo quello che devo scrivere dopo dopo 7-8 mesi mi incontro un mio amico avvocato, un personaggio della Parma che non c’è più, noto a tutti perché gli mancava un braccio, che mi ha messo la pulce nell’orecchio: ma che hai scritto di questo personaggio? Informati meglio’. Così ho scoperto che dietro la filantropia si nascondeva un segreto turpe. Molto spesso dietro una ricchezza improvvisa e una grande filantropia si nasconde un fatto atroce, la stampella cui s’appoggia chi nasconde qualcosa di inenarrabile della propria storia per camminare a testa alta in mezzo alla società. Più o meno questa è la mia sensazione».
Da racconto celebrativo si entra dunque in un’inchiesta dai contorni noir, la vicenda si anima, con tanto di fatto di sangue. «Il protagonista del libro in realtà sono io stesso. L’ho ambientata in un luogo immaginario per un solo motivo, per una scelta di umanità: ci sono nipoti e pronipoti che sarebbero colpiti da una vicenda della quale non sanno nulla». Che il libro sia autobiografico si deduce che dalla copertina, un suo ritratto... visto da dietro. Ed eccola la storia. Incaricato dal Comune di Candora (immaginario, evocativo del candore), Domenico Palardo, magistrato in pensione, insigne uomo di legge si trasformerà in scrittore detective animato da un’incrollabile passione per la verità. Deve coordinare il volume celebrativo dei 100 anni della costituzione del Comune stesso e scrivere il saggio di apertura dedicato al personaggio che ha creato lo sviluppo del paese con le aziende da lui fondate. Ma la storia di Siro Sieroni, il principale personaggio, cela qualche segreto che le figlie cercano di rendere impenetrabile. È l’uomo che ha favorito lo sviluppo economico del paese attraverso le aziende da lui fondate, ma ha un peccato originale da scontare.
Indagando e scavando in paese, interpellando il figlio nato da una relazione del Sieroni, Palardo viene a conoscenza dei segreti accuratamente sepolti nella famiglia. Minacce, danneggiamenti e un delitto sono la cornice di questa indagine del tutto privata e del tutto legittima. Nata per elogiare la memoria di Siro Sieroni, si conclude appunto con un omicidio, il cui autore viene alla fine scoperto per l’intuito di Palardo. Di fondo, è stato scritto di questo romanzo, «serpeggia evidente l’amara ironia per il passato e per il presente che ripropongono entrambi alcuni evidenti vizi nazionali, come l’ipocrisia, l’adulazione dei forti e dei potenti e soprattutto il conformismo».
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