PENSIERI LIBERI
Ottobre 2024
In queste ore si celebra Sinner, eroe e vincitore su Djokovic: lo fanno tutti, più o meno; anche chi non ha mai preso in mano una racchetta. Ha vinto una finale da autentico numero uno, ma non ha solo vinto, è il modo in cui lo ha fatto, da grandissimo, dall’inizio alla fine, con un tennis moderno, lucido, aggressivo. Sinner, al netto dei suoi problemi con il doping, è in possesso delle chiavi per aprire una nuova epoca, mentre un’altra, inesorabilmente, va a spegnersi e a chiudersi per sempre.
Due anni fa il ritiro di Roger Federer; da poche ore ha annunciato lo stop anche Rafa Nadal. Non è semplicemente un ritiro, il suo: è la fine di un’era, di un certo modo di concepire il tennis che se ne va via insieme a lui. Con Federer si è preso molte ore della nostra vita, incollati alla tv e alle voci di Clerici e Tommasi. È stato così, ogni volta, per quasi vent’anni. Come quel 9 luglio del 2006, a Wimbledon. Poche ore prima che a Berlino l’Italia vincesse il quarto titolo mondiale. L’erba era la specialità di Federer, numero uno nella classifica. Nadal, nonostante i suoi vent’anni, giocava come un veterano. Alla fine, tutto andò secondo i pronostici della vigilia: in quattro set, Federer riuscì a imporsi su Nadal, conquistando Wimbledon per la quarta volta consecutiva, come era riuscito soltanto a Borg e a Sampras prima di lui. Ma la storia era solo all’inizio. Tra i giornalisti provenienti da tutto il mondo c’era anche lo scrittore statunitense David Foster Wallace, inviato a Londra dal New York Times come corrispondente.
Dalla sua esperienza in terra inglese nascerà un articolo scritto per Play, l’inserto sportivo del New York Times, dal titolo iperbolico e particolarmente significativo: ‘Roger Federer as Religious Experience’. In breve tempo l’articolo si trasformò in qualcosa di superiore: riuscendo a superare ogni confine di genere, diventò prima un saggio, poi un trattato e, alla fine, un vero e proprio oggetto di culto per gli appassionati. ‘Roger Federer as Religious Experience’ venne tradotto in tutto il mondo, diventando un best seller anche per chi non si interessa di tennis e un classico della letteratura sportiva e non. Se c’è ancora qualcuno che non conosce il testo, lo cerchi, lo legga e lo conservi: ne vale la pena.
Il testo (una specie di breve racconto) prende spunto dalla definizione dei cosiddetti Federer Moments, ossia quei momenti in cui Roger Federer abbandona i panni dell’essere umano. L’inedita terminologia utilizzata, la prosa pirotecnica, vertiginosa e totalmente fuori di testa: tutti questi elementi si fondono nell’apologia della bellezza del gesto atletico. Una sera Bertolucci durante una telecronaca ha detto: «Fa cose che gli altri non riescono neanche a immaginare». Definizione perfetta. Federer era arrivato all’inizio del Millennio, quando un pomeriggio di giugno superò al quinto set proprio Sampras a Wimbledon, in un match memorabile passato alla storia.
Hanno sempre avuto molto in comune, Roger e Rafa: il talento, la vittoria, la novità: era impossibile invidiarli talmente grande era la loro distanza dalla realtà, di poteva solo ammirarli e contemplarli. Ma hanno anche saputo proporsi come un modello positivo assoluto dentro e fuori dal campo. Nadal è stato allo stesso tempo un antidivo e il tennista popstar definitivo. Capello lungo al vento, calzettoni a mezza tibia da baskettaro, canotta, polsini, fascia nei capelli, aveva più del surfista, del cestista da spiaggia che del divo con la racchetta. Ha spinto oltre ogni limite ciò che altri prima avevano già fatto in tal senso. È stato anche un simbolo della Generazione Millennial.
Duelli e dualismi c’erano stati anche prima: Borg-McEnroe, Lendl-Connors, Becker-Edberg, Sampras-Agassi. Federer e Nadal hanno però creato qualcosa di unico: 24 le vittorie per lo spagnolo, 16 per lo svizzero, ma in realtà l’equilibrio è sempre stato molto più presente di quanto la matematica non suggerisca. «Nella vita c’è sempre un inizio e una fine», ha detto emozionato Nadal, con gli occhi lucidi e il sorriso sulle labbra, commentando la sua decisione. «È un cerchio che si chiude. Credo sia arrivato il momento, quello giusto, di mettere il punto. È stata una carriera lunga, ho avuto più successi di quelli che mi sarei mai potuto immaginare. Sono stato davvero fortunato». E mentre dal mondo arriva l’omaggio globale — tra i primi quello del rivale-amico Roger Federer («speravo che questo giorno non arrivasse mai, grazie per le cose incredibili fatte»), Nadal ha aggiunto: «Lascio con la certezza di aver dato tutto, di essermi impegnato al massimo».
I media di tutto il mondo hanno celebrato Rafa Nadal il giorno dopo l’annuncio del suo ritiro dal tennis giocato. La notizia ha aperto i principali quotidiani sportivi. ‘E la terra si fermò’, la copertina dell’Equipe, che con un gioco di parole ha sottolineato come lo spagnolo sia stato il più grande giocatore di tutti i tempi sulla terra battuta, oltre che il più vincente al Roland Garros. ‘Grazie Rafa’ la scelta più ricorrente: così gli spagnoli As, Mundo Deportivo, Sport e Super Deporte; mentre Marca ha scelto un ‘Vamos Rafa’ disegnato con palline di tennis. ‘Adesso sì, è finita’, è stato il titolo del Mundo che fa riferimento alle continue voci di ritiro negli ultimi mesi; ‘Adios Rafa’, è stata scelta del Pais. ‘Adeus’ sui quotidiani portoghesi e brasiliani. Più composta la Bbc: ‘La leggenda del tennis Nadal si ritira a novembre’.
Con il loro stile diverso, per molti versi antitetico, Federer e Nadal hanno segnato un’epoca, la loro e quella di chi li ha accompagnati colpo su colpo, generazioni diverse, dai 10 ai 90 anni. I bambini sono diventati adulti, i papà sono diventati nonni, le ragazzine mogli e mamme e loro erano sempre lì, ad affrontarsi da giganti, mentre tutto cambiava, i social, gli smartphone. Le crisi politiche, economiche, le storie cominciate e quelle finite, persino il Covid e, infine, chi non c’è più. Sono stati gli anni di tutti, un tempo in cui si poteva vedere su YouTube il video girato a Rio di Love of my life, o imparare Fossati e la sua Bella che ci importa del mondo, o i Guns’ N’ Roses, o ciò che a ciascuno interessava e piaceva. Il mondo gira e non è solo un caso se il tramonto arriva mentre si accende la stella di Sinner e della nuova generazione. C’est la vie.
PS: Mentre parlo di Nadal non posso fare a meno di ricordare il mio e nostro amico Matteo Berselli. Di Nadal è sempre stato un grande ammiratore e tifoso, al contrario di me che ero e sono per Federer. Questa divisione ci costava lunghe discussioni durante le pause dal lavoro, andate avanti per anni, senza mai trovare un punto di incontro. Testimone diretto, spesso, il maestro Roberto Codazzi. Era un tema che ci appassionava molto, anche più del calcio in certi momenti, fino a far diventare la nostra disputa quasi ideologica (si fa per dire). Matteo ha chiamato suo figlio Raffaele, detto Rafa, proprio come Nadal. La nostra discussione si è interrotta di colpo, non è mai finita. Ne è rimasto il ricordo e la nostalgia.
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