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IL PUNTO

Ius scholae, dai comuni una «pressione gentile»

La sfida dell'inclusione: il 20 novembre per trasformare la teoria in pratica

Settembre 2024

Ius scholae, dai comuni una «pressione gentile»

C’è una data che può fare da spartiacque tra le chiacchiere estive e la volontà di ‘metterle a terra’ concretamente: è il 20 novembre, Giornata Internazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Quale migliore occasione per passare dalla teoria alla pratica dando un segnale concreto di inclusione reale a figli di immigrati senza cittadinanza italiana ma regolarmente cresciuti in Italia, dove magari sono anche nati, e dove sono altrettanto regolarmente presenti ogni giorno nelle aule scolastiche anche per imparare — al pari di chi italiano lo è per diritto di nascita — a essere buoni cittadini e lavoratori onesti con la possibilità di costruirsi un futuro.

Bambini e ragazzi che parlano correttamente la lingua, conoscono e praticano il dialetto, ma che rimangono paria per le leggi dello Stato. Lasciati nel limbo dei nè carne nè pesce, con il rischio di aprire loro le porte dell’inferno. Abbiamo ancora davanti agli occhi le sanguinose, devastanti e periodiche rivolte dei giovani delle banlieues francesi, con immigrati di seconda e terza generazione che non hanno più radici nelle terre dei loro padri e dei loro avi, ma non hanno neppure radicamento reale nella nuova patria.

Minimizzare il rischio si può, dando loro un Paese in cui non solo crescere ma in cui credere, terra di pari dignità e opportunità dove a fare la differenza non è la terra d’origine ma la capacità individuale, la coscienza sociale e la cultura. Grazie anche al medagliere italiano multicolore delle recenti Olimpiadi di Parigi si è riaperto con forza il ragionamento intorno alla possibilità di allargare le maglie delle regole sul diritto di cittadinanza. Che però, come spesso accade nelle nostre contrade, rischia di diventare puro esercizio di stile estivo.

Per evitare il rischio è necessaria una spinta dal basso, anche perché i sondaggi dicono che gli italiani sono in maggioranza pronti ad aprire le porte ai nuovi cittadini. Ius soli temperato, ius scholae, ius culturae, ius loci, ius sanguinis sono le principali formule sul tappeto. Con prevalenza della seconda, lo ius scholae, sul quale si registra un sì trasversale agli steccati politici. C’è quello di Forza Italia, per bocca del suo leader Antonio Tajani, al Meeting di Comunione e Liberazione: «Essere italiano, essere europeo o essere patriota non è legato a sette generazioni prima. Preferisco uno che ha genitori stranieri e canta l’Inno di Mameli a uno che è italiano da sette generazioni e non canta l’Inno. Chi è più patriota dei due?».

Posizione condivisa dalla Cei, la Conferenza episcopale dei Vescovi, dal mondo delle imprese — sempre più affamato di lavoratori consapevoli e il più possibilmente sereni — e ben vista dal Pd (più favorevole ad aperture maggiori), che la considera comunque un importante passo avanti. In estrema sintesi, è un’ipotesi di riforma sulla cittadinanza che ne lega l’acquisizione al compimento di un ciclo di studi. Come si sa, l’Italia è tra i Paesi con i requisiti più rigidi relativamente al diritto di cittadinanza.

Viene concessa per naturalizzazione ai maggiorenni dopo dieci anni di residenza sul territorio nazionale, per matrimonio in caso di unione con una persona di cittadinanza e per diritto di nascita se uno dei genitori è titolare del diritto. Norme che creano paradossi. Ad esempio quello vissuto dal velocista casalasco Eseosa Fausto Desalu, che prima di ottenere la cittadinanza italiana il 21 febbraio 2012, figurava ufficialmente come detentore di più di un record nazionale nella categoria Allievi, ma non poteva vestire la maglia azzurra, il suo grande sogno di adolescente. Un giovane destinato a diventare medaglia d’oro alle Olimpiadi. Nelle aule scolastiche del Belpaese 11,2 studenti su cento sono con cittadinanza non italiana, fenomeno in costante aumento che però non compensa il calo degli ‘autoctoni’.

Il nostro futuro passa anche da quegli 11,2 ragazzi: emarginarli significa regalarli al rischio di una deriva asociale, quando non criminale. Lo sanno bene i molti sindaci italiani di grandi città e di piccoli Comuni che hanno messo in agenda il conferimento di ‘cittadinanza civica’ a figli minori di immigrati senza cittadinanza italiana ma regolarmente residenti. Una scelta consapevole di integrazione, che va al di là della loro collocazione politica. Per restare nei dintorni, è il caso di Gianmario Zanga, primo cittadino di Albano Sant’Alessandro, in provincia di Bergamo: tessera di Fratelli d’Italia in tasca, nel 2023 ha ottenuto il via libera unanime del consiglio comunale all’ordine del giorno per assegnare la cittadinanza onoraria a bambini e ragazzi figli di stranieri che ancora non sono italiani.

Una sensibilità che sta crescendo anche in provincia. Andrea Virgilio, sindaco di Cremona, nel corso di un dibattito accanto al collega di Crema, Fabio Bergamaschi, ha dichiarato di voler accettare la sfida: «Ci stiamo muovendo per portare la proposta in consiglio e lanciare questa sfida culturale alla destra liberale lontana dai populismi e stanca di certa retorica anti immigrati». Bergamaschi parla di «una nuova sensibilità che si sta facendo largo oltre gli steccati in cui ci ha costretto la politica muscolare del bipolarismo» e dei Comuni «come agente politico sostitutivo: noi ad esempio facciamo riconoscimento dei figli di famiglie omosessuali, senza farne una bandiera».

E ancora: «La sinistra riparta da Antonio Tajani e verifichi che il suo non sia solo un posizionamento tattico negli equilibri del centrodestra». Le amministrazioni locali, in quanto prima interfaccia con il cittadino, possono dunque fare da apripista. La sfida potrebbe essere raccolta anche da altri sindaci cremonesi, territorio in cui, salvo casi limite, l’integrazione degli immigrati è un dato di fatto. Ed ecco che torna la data del 20 novembre.

Quale migliore giorno di quello dedicato alla Giornata Internazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza per la consegna dei certificati di Cittadinanza civica a chi ancora italiano non è ma sogna di esserlo? Un gesto simbolico attraverso cui fare una «pressione gentile» su Roma affinché si aggiorni la legge numero 91/1992 sulla cittadinanza. L’efficace definizione è di Pasquale Chieco, sindaco di Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, Comune con poco più di 24mila abitanti, che proprio il prossimo 20 novembre conferirà la cittadinanza civica a 200 minori, figli di immigrati senza cittadinanza italiana ma regolarmente residenti da almeno due anni. «Il nostro ius loci votato anche da Fratelli d’Italia e Forza Italia». Ce la si farà a ottenere un consenso tanto largo anche in provincia di Cremona?