IL PUNTO
Agosto 2024
Mestiere brutto e difficile quello dell’oppositore. Soprattutto scomodo e a forte rischio di frustrazione, in particolare se hai perso al fotofinish. Ricoprire bene il ruolo è estremamente faticoso. Avendo come stella polare il bene comune, se non lo si vuole esercitare in modo ideologico e preconcetto, si devono studiare a fondo i dossier sul tavolo ed è necessario documentarsi molto più di chi va in aula solo per votare sì (quanti ce ne sono!) perché ha l'unico obiettivo di dimostrare fedeltà alla propria parte.
L’oppositore corre il rischio dell’isolamento e alla fine di ogni ‘gioco’, nonostante l’impegno profuso, ha una quasi certezza: dovrà bere l’amaro calice della sconfitta mentre altri — la maggioranza — alzeranno quello della vittoria, che deriva dalla certezza dei numeri. Nel corretto gioco democratico, però, la minoranza riveste un ruolo decisivo: più è ‘assillante’ sul governo, meglio è per l’intera comunità. Ha un ruolo di controllo e di critica sull’operato della maggioranza, che deve coniugare con una capacità propositiva che la ponga come alternativa credibile in un futuro più o meno prossimo. L’oppositore risponde a chi lo ha eletto, che da lui si aspetta oltre a un controllo costante sull’operato della maggioranza, anche proposte alternative serie e credibili e soprattutto che informi costantemente il suo ‘popolo’ sullo stato dell’arte. Ci sono molti modi di rivestire il ruolo, come dimostra il caldissimo confronto, trasformato nella partita estiva ben raccontata in stile calcistico dal nostro Mauro Cabrini, tra il candidato sconfitto del centrodestra, Alessandro Portesani, e il neoeletto presidente del consiglio comunale, Luciano Pizzetti.
Come è noto, Portesani ha annunciato di aver costituito una giunta ombra, con dentro soli esponenti della sua lista, Novità a Cremona, anticipando un’opposizione feroce: «Saremo il cane da guardia della giunta Virgilio e del presidente del consiglio Pizzetti, che dovrebbe essere super partes, ma si comporta come un pro sindaco incapace di togliere la giacca di partito». Alla replica di quest’ultimo, che lamenta per quanto lo riguarda un intervento a gamba tesa, «una sgrammaticatura istituzionale», il capo dell’opposizione replica con un secco «si lamenta del controllo? So che preferisce cani che scodinzolano».
Non esattamente un momento di fair play. Un luglio di fuoco che preannuncia un quinquennio decisamente incandescente. La nascita della giunta ombra e la sua composizione, oltre alla successiva polemica, certificano però anche come il campione del centrodestra alle ultime elezioni preferisca giocare come battitore libero anziché da leader di una coalizione che ha sfiorato la vittoria e che dunque dovrebbe avere nella coesione il suo elemento fondante.
Almeno se vuole avere la speranza di ribaltare il risultato alla prossima occasione. Proprio per questo, la prima, coraggiosa, reazione allo scenario che si va delineando, è stata di Chiara Capelletti. Politica esperta, esponente di Fratelli d’Italia e vice sindaco in pectore in caso di vittoria di Portesani, al ringhio del cane da guardia ha preferito un approccio diverso. Ma non per questo meno da fiera oppositrice: «Sarebbe il caso di fare uno sforzo corale nell’utilizzare metafore, aggettivi, commenti più adeguati ai ruoli che ricopriamo. L’autoassoluzione motivata dal ‘lo fanno a Roma, per cui lo posso fare anch’io’ non mi piace. I cremonesi ci guardano, ci osservano il più delle volte straniti, e questo è motivo sufficiente, per me, per provare a cambiare».
Frasi forti. Non ha poi risparmiato una bacchettata a entrambi i contendenti, quasi richiamandoli all’ordine. Adeguandosi efficacemente alla metafora calcistica, ha definito Portesani un Gattuso, che non a caso come soprannome aveva proprio Ringhio, «determinato competitivo e senza timori reverenziali», e Pizzetti «uno Zidane lezioso». La grinta e la risolutezza contro la classe mista a cattiveria. Intervento tutt’altro che banale, il suo, perché dimostra di aver ben compreso un concetto molto semplice: la minoranza può fare la differenza.
Lo ha spiegato bene lo psicologo sociale Serge Moscovici, ex ministro francese, nel suo saggio ‘Psicologia delle minoranze attive’. Gli studi in psicologia sociale dimostrano che le minoranze possono influenzare le posizioni della maggioranza e aprire spiragli in cui ‘intromettersi’. Quando succede, «il varco spalancato dalla minoranza genera un conflitto che porta in un primo momento la maggioranza a rifiutare la posizione minoritaria. Il conflitto potrà poi culminare o nell’accettazione dell’opinione divergente o con il suo rifiuto».
Perché questo accada, la minoranza deve assumere un atteggiamento «tenace e persistente», rappresentare un «consenso alternativo», agire in modo coerente e soprattutto essere categorizzata come «parte del gruppo». Come spiega Moscovici, «è improbabile che un unico individuo dissidente sia in grado di esercitare la propria influenza sulla maggioranza». Un compito delicato, spiega ancora.
Perché se la minoranza non potesse esercitare alcun tipo di influenza, non ci sarebbero innovazioni, punti di vista differenti, progressi sociali, né variazioni nei sistemi di potere. Intanto, il clima di tensione che si registra a livello del Comune capoluogo potrebbe impattare anche su altri fronti. Come quello della prossima elezione del presidente della Provincia e dei dodici consiglieri. Sono attualmente in corso trattative sotterranee — ma non per questo meno decisive — tra i partiti dei diversi schieramenti finalizzate alla definizione di una lista unitaria. Obiettivo auspicabile, viste le prerogative dell’ente in seguito alla riforma firmata da Graziano Delrio, più operative e meno politiche, comunque importanti per la gestione del territorio. Se anche in quel caso al confronto, seppure aspro, dovesse prevalere lo stile ringhio, a perderci potremmo essere tutti. Di destra o di sinistra. La parola, ora, spetta ai politici.
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