IL COMMENTO AL VANGELO
Don Paolo Arienti
Dicembre 2024
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli, infatti, saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio, infatti, esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
Lc 21,25-28.34-36
Lasciamo un tempo per un altro tempo, lasciamo un Vangelo per un altro. Che i tempi stiano mutando lo ricordano alcune decorazioni natalizie già in posizione, belle illuminate, e le alterne fortune del Black Friday: le corse commerciali ci rammentano per tempo di organizzare i nostri pacchi regalo e pensare proprio a tutto, facendo magari qualche buon affare. Più difficile cogliere altre trasformazioni che un poco si nascondono dentro il vortice di proposte e acquisti. L’obiettivo è certamente il Natale, meta agognata da studenti e genitori, nonni e lavoratori.
Ma la prima domenica di Avvento che le comunità cristiane vivono oggi conserva un altro tenore: pone lo sguardo su di una venuta di Cristo che non coincide con la sua nascita. Per ricordare questa prima, straordinaria venuta avremo tempo nei giorni immediatamente precedenti il Natale e nelle chiese vivremo la Novena dedicata. Ora la liturgia ci invita a concentrarci sulla sua terza e definitiva venuta, quella che possiamo definire escatologica e che i testi biblici servono con un linguaggio apocalittico cui le domeniche precedenti già ci hanno un poco abituati. Tra la prima e la terza i cristiani collocano una seconda venuta, un incontro possibile, nella fede, ogni volta che le comunità si raccolgono per celebrare i sacramenti, punti di incontro con Dio, per la preghiera e per la carità: lì, in gesti tanto umani quanto divini, si nasconde e si rivela al tempo stesso la presenza di un Cristo che in questa storia abita, dentro un corpo allargato, diffuso che sono i suoi discepoli. Ora è il momento di non guardare solo indietro, a quella prima venuta che ha cambiato per molti il corso della storia; ora è il momento di orientare l’incontro sacramentale con Cristo a qualcosa di grande, definitivo che sappia dare corpo alla speranza. Ora è il momento di aumentare la gradazione e l’intensità delle piccole luci di bene e di fecondità che possiamo raccogliere attorno a noi e dentro di noi.
Certamente si tratta di un esercizio pedagogico che a tratti per molti coincide con uno sforzo (perché sperare ancora? Perché fidarmi?), oppure con una pia illusione (tanto non cambia nulla e la religione è solo un inganno consolante…). Il Vangelo, da oggi secondo Luca, richiede invece di risollevare lo sguardo, puntarlo altrove, non ripiegarlo sul solo oggi; e chiede un esercizio parallelo di “leggerezza”: quella che vediamo reclamizzata per tanti cibi anticolesterolo, ma che in realtà serve anche alla vita dello Spirito perché non si gonfi a dismisura, trattenendo le ansie e le preoccupazioni. O si vive di obiettivi grandi, che ci possono attrarre per la loro bellezza, oppure si sopravvive. Ce lo ricordano le tante, troppe persone che anche in questi mesi sono costrette a mettere al mondo figli e lavorare per la pace sotto le bombe, o in mezzo alle alluvioni o, peggio forse, mentre sono private dei loro diritti da simili senza scrupoli. La loro sopravvivenza non basta. A loro, e a noi, serve vivere, guardando a qualcosa di più grande delle nostre alterne fortune. Luca mette in bocca a Gesù parole durissime: è di nuovo lo spigoloso codice apocalittico che spiazza e risveglia, smuove e costringe a concentrare le attenzioni. E mentre utilizza queste sue immagini roboanti, torna a bussare alla nostra coscienza perché si attivi e non subisca passivamente i ritmi banali della storia. Serve che qualcuno si attivi e renda vere le parole di don Primo Mazzolari “Il mondo si muove, se noi ci muoviamo”, scritte in un insospettabile e drammatico 1943. È la richiesta di una vigilanza vera, profonda e libera: come quella di quanti nella storia non si sono lasciati imbrogliare da piccole promesse o incastrare dalla compromissione o, peggio, bloccare dalla paura.
Cose terribili ne accadono, ogni giorno. Ogni giorno, se solo apriamo gli occhi, l’apocalittica con le sue immagini terrificanti ci si presenta ben più che un esercizio letterario o una profezia strampalata: è troppo spesso la carne viva dell’umanità e del pianeta violentata. Per accorgersene e lavorare a servizio di un’altra storia, serve luce. Più luce. E la possiamo chiedere: chi crede al Signore; chi non crede comunque alla sua stessa umanità.
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