24 Novembre 2024 - 05:20
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Gv 18,33-37
Siamo pieni di giornate commemorative… la globalizzazione - innanzitutto dei mezzi di informazione - ci notifica ogni giorno “la giornata di…”: spesso argomenti urgenti, preziosi, a volte cose meno significative. Anche la liturgia ha le sue giornate: la domenica, giorno del Signore, lo spazio e il tempo che le comunità si danno per ritrovarsi in assemblea; e altri giorni particolari in cui si fa memoria di eventi fondativi (tra poco, in fondo, sarà ancora Natale!). L’anno liturgico è la disposizione cronologica dei principali eventi legati alla vita di Gesù, dalla sua nascita alla sua morte, dalla sua risurrezione alla ferialità del suo muoversi e parlare.
L’anno liturgico non coincide con quello solare-civile, ma si conclude con la festa odierna di Cristo Re e si apre con la prima domenica di Avvento. Nel suo ultimo segmento, come nella sua prima ripresa, l’anno liturgico consegna ai credenti un’impennata: costringe lo sguardo ad alzarsi almeno un poco rispetto all’orizzontalità anche angosciata di questa storia, con le sue escalation militari e le sue profondissime ferite di ingiustizia; costringe la fede a nutrirsi di immagini apocalittiche, terrificanti dal punto di vista delle analogie naturali, efficacissime come antidoto al torpore della coscienza; costringe infine i discepoli del Vangelo ad un esercizio di “memoria futura”: ricordarsi che questa storia ha il suo baricentro non solo nel passato (gli eventi che ci hanno messi al mondo, ci condizionano, ci sostengono, con un ruolo decisivo per i credenti riconosciuto al mistero pasquale), ma anche nel futuro.
Perché Gesù “ritornerà”, si dice nella professione di fede “a giudicare i vivi e i morti”, ovvero a restituire verità e luce piena a quanti sono avvolti nella miseria dell’ingiustizia in tutte le ore della storia. Cosa assai difficile da credere e in cui con molta fatica poniamo qualche speranza: perché siamo sufficientemente contaminati dalla praticità dell’oggi, dai suoi confini fatalmente sigillati che qualcuno crede ancora saldamente nelle nostre mani. Anche i credenti più sinceri su questo approccio di futuro spesso vacillano, perdono smalto e sicurezza.
La scena evangelica di oggi è la scena di un processo-farsa: un governatore romano che schiaccia un povero rabbi che a sua volta disconosce l’autorità che lo giudica, perché il suo regno non è di questo mondo. Uno scontro assordante nella sua carica di equivoci e un modo straordinario con cui Giovanni dipinge a tinte fortissime la regalità di Gesù: non intervengono a sua difesa truppe scelte, non si ingaggiano battaglie. Il suo potere ha una struttura totalmente diversa da quella che anche i migliori apocalittici infondo avrebbero desiderato da un Messia rispettabile. Qualche bomba, tra le tante! Qualche missile efficace, mentre ancora oggi si sperimentano multi-testate che superano di dieci volte la velocità del suono!
No. Gesù andrà dritto al patibolo. Subirà le scelte del doppio tribunale, ecclesiastico e politico, messo in piedi in una notte concitata perché chi disturba sia messo a tacere, in fretta, mentre nei continui rimpalli ciascuno cercherà di farla franca e di scaricare sull’altro la colpa. Questo processo, che porta fatalmente Gesù alla morte, è per Giovanni il vero processo della storia, anzi il processo sulla storia, condotto non da un giudice corrotto, ma dal Figlio che fa del suo sacrificio un’occasione per fare “sacro” tutto e rimettere in un ordine divino ciò che la potenza umana ha sovvertito: la verità. Non è un caso che poco più avanti Pilato chiederà ad un Gesù in catene “che cos’è la verità?”, quasi a scusarsi e a ridimensionarsi come pedina in una scacchiera che il destino conduce in modo irrazionale.
È proprio la verità a fare difetto nel sistema di pensiero e di vita di Pilato; mentre Gesù è portatore della scandalosa verità di un Regno che non si confonde né si conforma a questo mondo, alle sue logiche di potere e dunque rischia di venire schiacciato, marginalizzato, anche deriso. Se lo dovrebbero ricordare quanti oggi fanno eucaristia intorno a questa pagina di Vangelo: il nutrimento sta qui dentro, il parametro nuovo è qui. Altrove si affastellano voci di guerra e di divisione; l’intelligenza è prestata, come ai tempi delle dittature, alla plasmazione di strumenti di morte. Solo essere “non di questo mondo” può salvare questo mondo.
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