18 Maggio 2025 - 05:25
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
(Gv 13,31-35)
Già la scorsa domenica ci è stato proposto un brano evangelico in realtà pre-pasquale: era il passaggio del pastore che conduce le sue pecore ai pascoli della vita; era la proclamazione della comunione fedele tra Cristo e il suo corpo, i discepoli, i credenti: un affondo 'mistico' che svelava uno degli obiettivi più propri del tempo pasquale, ovvero connettere la testimonianza della risurrezione di Gesù con la compromissione vera, radicale e profonda dei suoi discepoli nella storia. Anche oggi, per la quinta domenica del tempo pasquale, è proposto un altro brano, pure prepasquale, ambientato nel drammatico e al tempo stesso intimo contesto del cenacolo.
Conosciamo bene quel che è successo in quella stanza: una cena pasquale di Ebrei confessanti, raccolti attorno ad un rabbi che dichiara proprio in quella sede di essere prossimo alla morte, anzi di essere vittima di un tradimento consumato all’interno della cerchia più ristretta dei suoi amici; un banchetto evocativo della liberazione dall’Egitto degli antichi Ebrei che si tinge di paradosso, quando il maestro in persona si alza da tavola, si cinge di un asciugamano e passa a lavare i piedi ai discepoli, nello sconcerto generale e nella protesta scandalizzata per bocca di Pietro. Ed è quella sera, quel contesto che viene ripresentato oggi, mentre viene messo a tema il grande comandamento dell’amore. Paradosso per paradosso, dramma per dramma, ma anche futuro, entusiasmo, profezia e destino. Così Gesù immagina i suoi discepoli: gente qualsiasi, non per forza protagonista delle prime pagine dei giornali, ma impegnate necessariamente nell’amore reciproco, quello gratuito e liberante che evoca lo stesso verbo greco agapào.
È Gesù stesso che per Giovanni utilizza il modo imperativo, trasformando quello che oggi per la gente comune è un desiderio libero, modulabile, riferito all’io e ai suoi bisogni (l’amare appunto) in un comando e nella misura cristologica del suo realizzarsi: solo assomigliando a Gesù, al suo stile giubilare che benedice, autorizza a vivere e libera, si può amare come lui vuole, come lui intende. Come Dio comanda! Solo prendendo sul serio l’altro, l’empatia vincolante ed oggettiva che si 'impone' a me, posso entrare nel giro di Gesù e trasformare un’esigenza personale, un bisogno da colmare nella narrazione stessa di Dio e del suo cuore.
Anche oggi poche righe, densissime che intendono costruire l’architettura della vita cristiana, mai singola, mai intrappolata in una religione dell’io, ma sempre verificata nell’altro, nella reciprocità di una presenza che provoca ad uscire, integrare, prendere in considerazione, di più… salvare. La lettura cristiana della storia passa per l’altro, per la coesione degli spiriti e per un flusso vitale che non separa, ma genera altri cenacoli, altri luoghi di intima solidarietà: la fraternità di cui è bene tornare a parlare proprio quando la violenza più brutale e la prepotenza più becera dominano i modelli di comunicazione e i contenuti della storia che ci viene vomitata addosso. Qualcosa di importante ha detto, sin da subito, Leone XIV, incontrando la stampa accreditata per la sua elezione a vescovo di Roma: parole su parole che cercano di ripristinare il cuore responsabile del parlare, dell’agire, dello scegliere.
Subiamo oggi una profonda e drammatica assuefazione al male: lo vediamo descritto nei minuziosi servizi sui bombardamenti e il funzionamento delle armi più sofisticate; lo sentiamo trionfare nell’uso massiccio delle fake news e della manipolazione delle notizie ufficiali, dove basterebbe ritrattare per cancellare il male generato dalla calunnia e dalla falsità. Sembra proprio che il farsi carico dell’altro non abbia più alcun senso, sia passato di moda, travolto dall’urgenza della sopraffazione. Si entra nell’altro per sgominarlo, costringerlo e dominarlo: dalla guerra alla pornografia, dalla polemica con il vicino di casa alla rivendicazione urlata solo dei 'miei' diritti.
Giovanni, e la cosa è evidente dall’impiego dei termini e delle costruzioni del testo greco, parla espressamente del mettersi nei panni altrui, 'dentro' l’altro: solo in questa mossa empatica, solo nella verità della relazione con l’altro può stare l’amore, quello vero. Come quello del Figlio che ha speso così il senso del suo passare sulla terra.
S.E.C. Spa – Divisione Commerciale Publia : P.IVA 00111740197
Via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona : Via Cavour, 53 - 26013 Crema : Via Pozzi, 13 - 26041 Casalmaggiore