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IL COMMENTO AL VANGELO

Tempo di Avvento, sia luce nei cuori

Riaccendere le coscienze: l'appello di Giovanni Battista al dovere e alla speranza

Don Paolo Arienti

15 Dicembre 2024 - 05:10

Tempo di Avvento, sia luce nei cuori

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Lc 3,10-18

La domanda che Luca mette sulla bocca di diversi interlocutori del Battista, è la domanda delle domande: «che cosa dobbiamo fare?». Soprattutto oggi, nel mondo impazzito che abbiamo attorno e dentro di noi. Solo personalità sconsiderate e infantili possono pretendere di rimuoverla, credendo alla favola di una libertà assoluta che, guarda caso, spesso è esercitata da chi ha termostati garantiti e buone possibilità di essere mantenuto. Non occorre scomodare Kant e la sua tradizione filosofica per focalizzare l’urgenza di un dovere che assume la forma di una presa di posizione, di una reazione, innanzitutto umana e personale, di fronte alla storia. L’Avvento, troppo frettolosamente ridotto a tempo commerciale per la preparazione dei regali o al recupero di parenti lontani per il cenone, è cosa saggia e preziosa: suggerisce un tempo di riappropriazione della vigilanza, è una pedagogia della qualità del tempo, troppo prezioso perché gli esseri umani semplicemente sopravvivano a se stessi. Tutti, bene o male, siamo alla ricerca di questa qualità: la desideriamo come l’ossigeno per i polmoni, come il battito del nostro cuore.

Nel recente discorso alla città, l’arcivescovo di Milano Delpini ha ripetuto più e più volte: lasciate riposare… la città, la vita, la natura… datevi tempi diversi, in cui la frenesia non sia l’unica arma di difesa e di offesa. Già, riposare, staccarsi dalla logica solo produttiva, sottrarsi agli ingranaggi che un tempo minacciavano in Tempi moderni uno sconcertato Chaplin, e che oggi prendono il volto più subdolo e suadente del cellulare, del flusso sconsiderato di commenti e pretese, del possesso spasmodico di garanzie e diritti. Darsi tempo e chiedersi che qualità possa avere non coincide assolutamente con una fuga dal reale: è esattamente la risposta più saggia, o almeno il tentativo di darne una responsabile, al dovere di stare in questo mondo, con gli occhi sufficientemente aperti a cogliere il valore delle cose, la loro destinazione, la loro decisività.

Per questo Luca fa continuare la predicazione di Giovanni con altri accenti apocalittici, in continuità con quelli già uditi nelle scorse domeniche: arriverà qualcuno con la pala, porterà il fuoco, distruggerà l’ingiusta sentenza che grava sulle vittime della prepotenza… insomma il set architettonico dell’Avvento più vero che non promette sconti a nessuno e costringe a guardare in faccia la realtà ed il suo carattere provvisorio.

Potessimo anche noi incontrare qualche Giovanni Battista che ci evangelizza, che ci colpisce e risveglia per la forza della sua parola profetica: dentro le chiese, ma anche e soprattutto negli spazi pubblici dove si consuma una partita complicata, segnata da decisioni drammatiche e da derive assurde. Nei panni di Giovanni possiamo trovare anche persone insospettabili, poiché nessuno ha la patente ufficiale di predicatore perfetto né di testimone autentico.

Qualcuno, dunque, che ci evangelizzi! Con il suo coraggio e la sua determinazione. Qualcuno che ci rimetta in rotta e ci fornisca le ragioni sufficienti per continuare ad esercitare la piccola, grande virtù della speranza. Questo qualcuno ha però bisogno di incrociare coscienze onestamente alla ricerca di che cosa debbano fare, coscienze non sonnecchianti e autoreferenziali. Non è forse questa la cifra più autentica del diventare adulti? Non sta forse qui l’intimo tormento di chi coltiva la fede, che è cosa ben più profonda e sostanziale della sola religione?

In tante chiese l’accensione progressiva delle candele (questa domenica se ne illuminano ben tre su quattro) esprime visibilmente il senso di una proposta: fare più luce sui fatti e sui cuori, esplicitarne le intenzioni profonde, sondare il mistero dell’umano che nella sua tremenda libertà è esposto agli esiti più diversi e terribili. Dal sacrificio di sé ai sotterranei della tortura rinvenuti in queste ore in Siria.

Esercitare dunque la domanda, allenare dunque i cuori, recuperare la profondità degli sguardi. Un programma che cozza contro la rigidità dell’inverno e il ritiro solo domestico.

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