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IL PONCHIELLI SI TINGE DI ROCK

Certe notti persi nella nebbia

Teatro esaurito da mesi per Ligabue: nella sua dimensione intima esalta il folk e lo spirito delle prime canzoni

Luca Muchetti

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07 Novembre 2024 - 10:01

Certe notti persi nella nebbia

CREMONA - «Se volete sapere la mia - diceva Bruno in Radiofreccia -: delle canzoni, delle vostre canzoni, vi potete fidare». La terza volta di Luciano Ligabue al teatro Ponchielli è una parata trionfale di successi del repertorio più che trentennale del cantante di Correggio, un greatest hits di cui quella frase preveggente, oggi, è la migliore conferma. Accolto da una distesa di smartphone in un teatro completamente esaurito da settimane, Ligabue (già in scena al Ponchielli dopo i concerti del 2006 e del 2011) sceglie Leggero, dal classico Buon compleanno Elvis! del 1995, per inaugurare una serata destinata a restituire soprattutto i capitoli più intimi, fra ballad, lenti e arrangiamenti di brani originariamente elettrici e da palazzetto come Vivo Morto o X e Balliamo sul mondo. Oltre due ore di un racconto che nella prima parte a canzoni come Ho messo via, Ti sento, Quella che non sei, Il giorno di dolore che uno ha, intreccia le parole del libro Una storia. Autobiografia, uscito nel 2016.

ligabue

Illuminato dalle luci basse di un palco minimale, Ligabue torna all’adolescenza, al ricordo di quella prima chitarra marca ‘Clarissa’, regalatagli improvvisamente dal padre dopo anni passati a ripetere che ‘I musicisti sono tutti morti di fame’. Incredibilmente seduto per quasi tutta la durata dell’esibizione - imbracciando alternativamente chitarre folk e dobro - Ligabue in questo giro teatrale, che anticipa il mega evento del prossimo giugno a Campovolo, è accompagnato da una band tutta acustica composta dal fedele Federico Poggipollini alla chitarra, Davide Pezzin al basso, Luciano Luisi alle tastiere e Lenny Ligabue, il primogenito di Luciano, per la prima volta in tour con il padre dopo aver suonato la batteria in tutti i brani dell’album Dedicato a noi. «Il Ponchielli è meraviglioso - dice il cantante pochi minuti dopo aver raggiunto il palco -, e noi siamo felicissimi di essere qua».

Si freme, si resta seduti a fatica fra platea e palchetti. Infatti bastano le note di Happy Hour per far riversare sotto il palco un centinaio di persone, prima che il sipario si chiuda di nuovo, in attesa della seconda parte dello show. Un secondo atto che raccoglierà una parte non indifferente dei più grandi successi di Luciano, come Piccola stella senza cielo, Non è tempo per noi, Certe notti e Urlando contro il cielo. Questo tour, nato e motivato principalmente dalla dipendenza da palco di Ligabue (una ‘tossicità benevola’ che non fa male a nessuno, come lui stesso la definisce), non è un unplugged in piena regola e nemmeno quel Nebraska che i fan della prima ora aspettano da anni ma che - a meno di sorprese - non si materializzerà mai, ma è uno spettacolo che coincide con un concentrato della poetica del cantante, scrittore e regista. Un quadro a tinte folk della maturità di Ligabue, e anche un assaggio dell’intimità che, forse, si poteva percepire solo in una sala prove sperduta fra le nebbie della Bassa, ormai tanto tempo fa, quando le canzoni nascevano sulle corde di una chitarra acustica, prima che Luciano Ligabue fosse Luciano Ligabue.

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