17 Agosto 2024 - 09:30
Giacomo Matteotti e la foto-cartolina del corteo che si sarebbe tenuto nell’estate del 1924
CREMONA - «Manifestazione per la morte di Giacomo Matteotti 1924»: le parole a matita sono ancora perfettamente leggibili, scritte con quella grafia ordinata di chi un tempo si impegnava a fare aste. È quanto si legge sul retro di una foto-cartolina che potrebbe rappresentare l’unica testimonianza concreta di un momento storico eccezionale di cui si sono perse le tracce. La cartolina è stata recentemente venduta da un antiquario a un collezionista. È in condizioni perfette, anche se sul retro sono evidenti i segni di uno strappo, perché probabilmente è stata malamente tolta da un album. A circoscrivere la data dell’immagine, c’è anche il timbro a secco Sansoni Foto, usato tra il 1920 e il 1926.
La posizione del fotografo è facilmente identificabile e - con l’eccezione delle insegne di qualche negozio - nulla è cambiato in un secolo: si vede corso Campi gremito di gente e l’inizio di corso Garibaldi indicato dalla targa. Chi ha scattato l’immagine era in uno dei palazzi all’inizio di via Palestro, affacciato a un balcone o a una finestra del primo, forse secondo piano. Si tratta di una foto-cartolina, pronta per un’eventuale spedizione. All’epoca era un formato diffuso e poteva essere stampato anche in copia unica.
Colpisce, tra folla, la presenza di molte donne in un’epoca in cui la vita pubblica femminile era ridotta, se non addirittura assente. Eppure ci sono, e sono tante. Qualcuna ha il cappello, molte sono invece a capo scoperto, con i capelli raccolti in trecce e crocchie, a dimostrazione che si tratta di una manifestazione di popolo. Tra gli uomini, qualcuno denota una certa eleganza - il cappotto, la cravatta, il panciotto sotto la giacca - ma la maggior parte indossa cappellacci contadini. C’è qualche coppola, ci sono i cosiddetti berretti da strilloni, in tanti hanno fazzoletti al collo.
Qualcuno sembra uscito dal Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Ci sono persone affacciate alle finestre e sventolano i tricolori con lo stemma sabaudo, anche se non è dato sapere se le bandiere sono state esposte per l’occasione o se sono sempre appese. È una manifestazione pacifica, nei fatti e nelle intenzioni, e lo testimonia anche la presenza di una bambina (o di un bambino), riconoscibile in basso a sinistra, con un soprabitino bianco e la cuffietta.
È davvero una manifestazione per Giacomo Matteotti? Se così fosse, avrebbe avuto luogo tra l’11 giugno (il giorno dopo il sequestro, tempo di venire a conoscenza della notizia) e l’agosto del 1924, visto che il corpo - ciò che ne restava - dell’onorevole socialista è stato trovato il 16 agosto di cent’anni fa: è passato esattamente un secolo.
Nel corteo alcune donne indossano la camicia, ma la maggior parte delle persone vestono abiti pesanti, alcuni hanno addirittura il cappotto. Il dubbio si stempera facilmente. Le estati un tempo erano più fresche e in ogni caso ci si vestiva di più.
Il balconcino sopra la drogheria trabocca di quella che sembra edera e questo ci riporta quindi alla primavera-estate. Insomma, nonostante l’abbigliamento, la fotografia potrebbe essere stata scattata proprio in estate. Sono scesi in strada i cremonesi, nei giorni in cui tutta Italia pensava alle sorti dell’onorevole che aveva osato contrastare Benito Mussolini in Parlamento? Nella città in cui già spadroneggiava Roberto Farinacci, così tante persone hanno avuto il coraggio di manifestare? Certamente, indipendentemente dalla data, quella raffigurata non è una manifestazione fascista. Non ci sono camicie nere, non c’è nulla che richiami la simbologia del regime fascista, ormai al potere dall’ottobre del 1922. «Non è neppure una manifestazione per Fiume - ricorda l’acquirente della fotografia -, perché mancano le bandiere carnarine che in quelle occasioni c’erano sempre. Non ci sono vessilli né bandiere, probabilmente per ordine della prefettura».
La stampa dell’epoca non riporta la notizia. Del resto, un giornale come Cremona Nuova che, il giorno successivo al ritrovamento del corpo di Matteotti, titola: «Buffoni, la farsa è finita» non ha alcun interesse a sottolineare una protesta di piazza. Né ci si può aspettare che della manifestazione dia riscontro La squilla, settimanale ultrainterventista fondato nel 1914 e considerato ‘pietra di fondazione’ del fascismo cremonese.
Nel 1923, L’Eco del Popolo, giornale fondato da Leonida Bissolati, aveva chiuso le pubblicazioni. E lo stesso, sempre nel 1923, aveva fatto La Provincia, il cui ultimo direttore, Claudio Miotti, dopo ripetute minacce, era stato addirittura colpito al volto con un frustino dallo stesso Farinacci.
In Fascismo a Cremona e nella sua provincia 1922 - 1924, Giuseppe Azzoni riporta che l’allora prefetto scrive al governo (dopo esplicita richiesta) che il «‘rinvenimento cadavere on. Matteotti ha prodotto questa provincia senso sollievo anche perché ha sfatato leggenda opposizione on. dovesse diventare irreperibile’ con una aggiunta a matita nella minuta ‘e che Governo ostacolasse rinvenimento stesso».
Il telegramma è successivo al ritrovamento del cadavere e non fa riferimento ai giorni che seguono il 10 - 11 giugno, quando un’ondata di sgomento, indignazione e paura ha attraversato l’Italia e forse anche Cremona.
All’epoca, Mario Coppetti aveva undici anni. Era solo un bambino, ma era attento, vivace, sveglio. Il 10 giugno del 2004, in San Vitale, il maestro dell’antifascismo cremonese sostiene: «Non posso nascondere una particolare emozione nell’accingermi a ricordare con voi l’apostolo del socialismo italiano Giacomo Matteotti perché a volte ancor mi par di sentire le tante voci di uomini e donne che con un senso di grande angoscia, quel giorno, andavano gridando e ripetendo sgomenti: ‘hanno ucciso Matteotti, hanno ucciso Matteotti’. Anche se fanciullo – avevo allora 11 anni – il ricordo di quei giorni è sempre stato presente in me e lo è ancor oggi, a distanza di tanti anni».
Manca la certezza, anche se resta quella scritta a matita, più forte del tempo, più forte di tutto.
«La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace», ha scritto Primo Levi. La scritta a matita sul retro della fotografia da sola non è sufficiente a certificare che la fotografia sia la testimonianza di una manifestazione di sdegno per il rapimento e l’omicidio di Matteotti. Se così fosse, sarebbe un documento storico eccezionale. E sarebbe anche un segno di coraggio. Negli anni truci del regime, era vietato, vietatissimo tenere oggetti o immagini che riconducevano agli oppositori politici, tanto più se martiri. La resistenza cremonese è passata anche da lì, dai nascondigli in cui per decenni sono stati conservati con amore i ‘santini’ di Matteotti, di Ferruccio Ghinaglia, di Attilio Boldori, sulle cui tombe malgrado i divieti non è mai mancato un fiore.
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