IL RICORDO
02 Giugno 2024 - 11:14
Riccardo Nencini, Paolo Gualandris, Paolo Carletti e Gianluca Galimberti
CREMONA - «Il fascismo non ha fatto nulla di buono, neppure i treni arrivavano in orario, forse l’unico che è arrivato in orario è stato quello che ha riportato i resti di Giacomo Matteotti a casa, perché lo hanno fatto viaggiare di nascosto, di notte, ma la gente del Polesine lo ha saputo lo stesso ed ha accolto il feretro stazione per stazione, con lancio di fiori, con le donne in ginocchio a pregare e gli uomini con la camicia buona, l’unica che avevano, che mettevano ai matrimoni o ai funerali».
Questa la toccante suggestione con la quale ieri Riccardo Nencini, ex parlamentare e segretario del Partito socialista italiano (Psi), ha concluso la presentazione del suo libro ‘Muoio per te’, il secondo volume su Matteotti, che esce dopo ‘Solo’ (entrambi editi da Mondadori).
La manifestazione, a cento anni dall’omicidio del parlamentare socialista da parte di una squadraccia fascista, è stata organizzata dalla Presidenza del Consiglio comunale e si è tenuta nel Salone dei Quadri. Con Nencini, presente anche il sindaco, Gianluca Galimberti, ha conversato il direttore de La Provincia, Paolo Gualandris.
Il presidente del Consiglio Comunale, Paolo Carletti (che ha voluto fortemente la manifestazione) ha aperto i lavori e ricordando il sacrificio di Matteotti, accostandolo a quello di Attilio Boldori, cremonese, sindaco socialista del Due Miglia, aggredito e ucciso dai fascisti nel 1921 in località Traballino, vicino alla cascina Marasca, sul Naviglio Civico, in territorio di San Vito di Casalbuttano. Carletti ha ricordato che «in quest’aula ha vissuto la sua vita politica anche il ‘cavaliere dell’ideale’, Leonida Bissolati».
Il libro di Nencini accosta due mondi contrapposti: quattro personaggi che rappresentano violenza, intolleranza, morte; una donna e un uomo che incarnano idee, forza, amore per la libertà, la condivisione della lotta che verrà pagata con la vita. Giacomo Matteotti, la moglie, Velia Titta, i tre figli, vivono la quotidianità di una famiglia borghese. Abitano sul viale di Trastevere. Irrompono tragicamente Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Amleto Poveromo, Augusto Malacria, arditi, fascisti e delinquenti comuni, che il 10 giugno del 1924 rapiscono e uccidono Matteotti, deputato e segretario del Partito socialista unitario (la squadraccia venne difesa nel processo di Chieti dal neo avvocato Roberto Farinacci, allora anche segretario del Partito fascista, poi fatto dimettere da Mussolini proprio per l’arroganza e la veemenza che avevano caratterizzato il ras di Cremona durante il processo.
Un omicidio che mette in crisi il fascismo, fino a quando, il 3 gennaio del 1925 Mussolini, capo del Governo, si assume la responsabilità del delitto. Non succede nulla: l’Aventino non dà risultati, il re Vittorio Emanuele III non revoca il mandato al Duce, che anzi rilancia e approva le leggi ‘fascistissime’: in Italia inizia l'Era Fascista, il regime.
Il libro di Nencini non racconta solo di Matteotti e Velia, sorella di un noto baritono romano, ma anche di altre donne speciali con uomini speciali: Anna Kuliscioff e Filippo Turati, Giulia Schucht e Antonio Gramsci. Tra le protagoniste anche Margherita Sarfatti, amante di Mussolini, mano nella mano con lui a teatro mentre le colonne delle camice nere marciano (o meglio cercano di farlo) su Roma. Infatti Nencini sulle sollecitazioni di Gualandris, che ha definito il libro «un documentatissimo romanzo storico», riguardo al ruolo delle donne nella storia, ha spiegato come, secondo lui «chi è ai vertici non si muove soltanto per la ragion di Stato, ma anche per passione, la storia sembra tagliare la parte emotiva di se stessa, e invece è la passione che spesso porta a decidere»
Lo scrittore ha poi tracciato un umanissimo ritratto della famiglia Matteotti, i rapporti tra Velia e Giacomo «così diversi, lui un appassionato politico, lei poetessa e musicista, si sono conosciuti in vacanza e quando la futura moglie chiede chi fosse quel giovane la sorella le risponde ‘lascialo state, quello è un San Sebastiano, ti farà vivere una vita difficile’. Alla morte di Giacomo Velia impazzisce dal dolore, rischia di finire in manicomio e mai parole furono più profetiche».
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