07 Maggio 2024 - 05:15
Avete mai fatto caso al fatto che quando parliamo di musica usiamo solo il singolare, la musica, senza aggettivi, specie quando si tratta di musica colta occidentale? Viceversa, quando parliamo delle altre musiche specifichiamo musica indiana, musica folk, eccetera? Non è così per il termine lingua al singolare, raramente utilizzato senza essere contestualizzato dal discorso in modo chiaro ed inequivocabile: lingua inglese, lingua italiana, lingua araba… Questo perché nella nostra cultura si è radicato il concetto che la musica sia una sola, che la nostra musica sia un linguaggio universale, che parla a tutti al di là delle provenienze culturali. Uno dei ruoli dell’Etnomusicologia è quello di disinnescare questa convinzione.
Così come ogni cultura sviluppa un proprio linguaggio – se pure a partire da ceppi linguistici con i quali può condividere molto – altrettanto produce una propria musica con specifiche grammatica e sintassi. Dunque, la musica come universale non esiste. Esistono tante musiche quante sono le culture. Se invece parliamo di comportamento musicale, allora sì possiamo introdurre elementi di universalità: non c’è rito collettivo - da quelli religiosi come matrimonio, funerale, nascita, a quelli civili, come una parata nazionale, un compleanno, una festa - che non richieda il concorso indispensabile di un’azione musicale. Giannattasio ne ‘Il concetto di musica’ spiega molto bene che «probabilmente è per questo suo carattere di fatto sociale totale (Marcel Mauss, 1950) che la musica può caricarsi di significati, in una sorta di rinvio a eventi e stati emozionali propri al contesto culturale di cui anch’essa è prodotto e riflesso» (1992: 207).
Per questo, se si vuole comprendere la musica di una determinata cultura non ci si può limitare ad analizzarne i modelli sonori, ma bisogna metterli in connessione con i contesti e le funzioni. Sono queste ultime che determinano fortemente la forma specifica della musica utilizzata. Ed è nelle funzioni, nei comportamenti musicali, che possiamo parlare di universali. Una ninna nanna degli indiani dell’Amazzonia e una ninna nanna di Cremona, ad esempio, avranno in comune l’uso di intervalli brevi, di un ritmo scandito, di un testo che parla del bambino. Una dimostrazione efficace di questo è l’esperimento The music lab che l’Università di Yale (principal investigator Samuel Mehr) conduce sulla comprensione delle funzioni delle musiche del mondo.
Andando alla pagina internet www.themusiclab.org/quiz-zes/fc potrete voi stessi sperimentare ascolti alla cieca di diverse musiche e provare a indovinare se si tratti di canti di amore, da ballo, di cura o ninne nanne. Non è sempre facile indovinare, tuttavia finora l’esperimento ha dimostrato che la maggior parte delle persone riesce a farlo. Ovviamente ci sono sempre delle eccezioni, ma alcune musiche esplicitano in modo forte a cosa servono, proprio perché ciò a cui servono forgia la forma sonora. E lo fanno in modo analogo in tante culture musicali diverse.
È con tutto questo ben in mente che nel 2014, in collaborazione con dottorandi e studenti del Dipartimento di Musicologia e Beni culturali di Cremona (Università di Pavia), ho iniziato una ricerca sulla relazione tra musica e migrazione. ‘Musica migrante’ è progetto destinato agli stranieri residenti e ai richiedenti asilo accolti nel territorio cremonese, articolato in una serie di attività che vedono la musica come strumento utile alla comprensione dell’identità transnazionale e all’ideazione di interventi creativi finalizzati a plasmare l’opinione pubblica sulla diversità culturale, etnica e religiosa nell’Italia contemporanea.
Nell’ambito di questa ricerca è iniziato nel 2019 il progetto Culture in dialogo: i patrimoni di Cremona tra il locale e il globale. Nato dalla collaborazione con il Comune di Cremona (Assessorato alle politiche sociali con il Centro Interculturale Mondinsieme e Assessorato alla Cultura, con i musei Archeologico, della civiltà contadina e di Storia Naturale) e di numerose comunità e associazioni (Ansamblul Trăistuța, Associazione Cultura Sikh – ODV, Associazione dei Senegalesi di Cremona e Provincia, Comunità Ucraina, Corale ivoriana di San Michele Arcangelo, Gnac, Associazione Nazionale dei Ghanesi a Cremona, Kirtani Jatha di Kamaldeep Kaur, Komuniteti Shqiptar ne Cremona, Misl Shaheedan Gatka Acadmey Suzzara e Kalghidar Gatka Academy, Torre; Sikhi Sewa Society) è finanziato dal Comune di Cremona e dalla Fondazione Stauffer ed è giunto ormai alla terza edizione. In questi anni abbiamo costruito insieme diverse modalità in cui mettere in dialogo il patrimonio materiale e immateriale degli stranieri residenti a Cremona con gli spazi e le collezioni dei musei civici della città. Accompagnando la presentazione di repertori e tradizioni che vengono da lontano con spiegazioni e individuando connessioni tra di loro e con quelli conservati nei musei. Ogni volta che progettiamo un nuovo evento emergono connessioni nelle differenze, analogie pur nella diversità formale delle diverse espressioni musicali. Questo ci consente di affiancare azioni delle diverse comunità, allargando sempre più il dialogo. La terza edizione, infatti, ha visto la partecipazione di ben cinque diverse comunità. A novembre scorso al museo di Storia naturale albanesi, ghanesi, indiani, rumeni e ucraini si sono cimentati nella narrazione di oggetti di affezione, oggetti di uso comune come un mortaio o una culla così come strumenti musicali come un djembe o una dilruba.
Le storie personali esprimono legami forti con oggetti che evocano la propria cultura, ma allo stesso tempo risuonano nelle storie di chi ascolta, attivando ricordi personali analoghi. Per l’evento realizzato il 18 febbraio al museo archeologico San Lorenzo, invece, tutto incentrato solo sulla musica, gli elementi di connessione sono stati i temi evocati dal museo: il luogo di culto (lo spazio fisico che ospita il museo) e la casa (centrale nell’allestimento). Spostando l’attenzione dalle specifiche forme alle funzioni delle diverse musiche, abbiamo costruito un percorso che andava dalle musiche del rito religioso ai canti di amore, passando per le ninne nanne e i lamenti funebri. Analogamente l’ultimo evento di questa edizione è articolato sui temi evocati dal Museo della civiltà contadina che lo ospiterà: i riti festivi legati al risveglio della natura. Da qui stiamo dipanando un percorso che si articola su tutti gli elementi che creano un evento festivo: gli abiti, i balli, le danze, le decorazioni floreali…
L’incontro sarà aperto da una breve visita guidata realizzata dagli alunni della Scuola Miglioli, che a partire dagli oggetti del museo hanno lavorato con le maestre Schinocca, Barrile e Zinerco ad analogie e differenze tra le diverse culture presenti a scuola (albanese, rumena, marocchina, tunisina, italiana). A seguire, i visitatori incontreranno nei diversi spazi del museo postazioni in cui le varie associazioni spiegheranno un elemento specifico delle proprie tradizioni rituali. A concludere, una dimostrazione dei diversi riti e balli nel cortile.
In tutti questi anni ciò che è emerso forte è che il momento del ballo è quello che riesce ad attraversare qualsiasi confine e a unire le persone in un’unica danza collettiva. Unitevi con noi nella danza l’11 maggio prossimo al museo della civiltà contadina Il Cambonino Vecchio.
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