23 Aprile 2024 - 05:15
Essere giovani imprenditori è entusiasmante e allo stesso tempo sfidante. Richiede coraggio, tenacia e soprattutto ambizione. Significa avere il mindset giusto ed essere pronti ad affrontare le numerose sfide connaturate alla trasformazione in corso, che caratterizza ogni settore produttivo. Queste sono condizioni imprescindibili perché un progetto imprenditoriale che sia appena nato o di lunga tradizione si dimostri sostenibile e si sviluppi adeguatamente. Superare la fase di avvio nel pieno dell’attuale rivoluzione industriale – possiamo dirlo — è ancora molto complicato. Oggi viviamo una ‘crisi di vocazione imprenditoriale giovanile’. È una discesa ripida, che non accenna a fermarsi, quella delle imprese giovanili e i dati ce lo dicono chiaramente: negli ultimi dieci anni in provincia di Cremona il numero di aziende in cui il titolare sia un under 35 è calato del 29%. Un dato emblematico di un ultimo decennio economicamente complesso, attraversato da svariate fasi di recessioni economiche e sociali che hanno trovato il loro apice nella pandemia e nella guerra. I lunghi mesi di lockdown hanno messo in ginocchio numerose attività imprenditoriali già avviate e innumerevoli idee imprenditoriali ancora in cantiere o alle prime fasi di sviluppo. L’incertezza ha in un certo senso frenato le ambizioni e destabilizzato molti dei giovani pronti a buttarsi a capofitto in una nuova avventura lavorativa.
In questo contesto, poi, ad incidere sul calo della propensione all’imprenditorialità sicuramente sono stati i costi generali in forte aumento che hanno messo in difficoltà tutti, in primis le aziende appunto più ‘giovani’. A questo si aggiunga la complessità della burocrazia nazionale che rappresenta un ulteriore ostacolo, fonte di scoraggiamento per imprenditori under 35, preoccupati soprattutto della gestione dell’impresa nella fase post-apertura. Tuttavia questi aspetti non esauriscono le spiegazioni al problema.
Ci sono almeno altri due aspetti cruciali: i fenomeni della denatalità e della ‘fuga di cervelli’. L’Italia, infatti, è un Paese demograficamente vecchio, dove il ricambio generazionale non riesce a mettersi in moto adeguatamente. 400mila nuovi nati nel nostro Paese, il minimo toccato dopo l’unità d’Italia con gravi ripercussioni dal punto di vista socioeconomico. Eurostat ci dice che nel 2030 nasceranno 190mila bambini in meno rispetto al 2020. L’Italia è tra i Paesi meno fecondi d’Europa con meno di 1,3 figli per donna. Parliamo di denatalità: un fenomeno che va progressivamente ad erodere la componente attiva che nel Paese produce ricchezza e che consente di finanziarlo e farlo funzionare. La carenza di risorse, come conseguenza di più debole crescita e maggior spesa per le voci che riguardano le generazioni anziane, può rendere meno generosi gli investimenti verso le nuove generazioni, formazione, welfare attivo, strumenti di autonomia e politiche familiari tanto più in un Paese con alto debito pubblico. Non possiamo aspettare e non possiamo rimandare di concentrare la nostra attenzione sulle politiche riguardanti l’infanzia e l’educazione dei figli: vale per gli under 35 che desiderano mettersi in proprio ma vale anche per chi vorrebbe cambiare attività e migliorare la propria condizione. Per riuscirci sono diverse le misure economiche e di sostegno alle famiglie che è necessario mettere in campo. Se è vero che i risultati nella maggior parte dei casi si vedono nel lungo periodo, è altrettanto vero che ci sono misure che, fatte subito, permettono di verificare gli effetti in un periodo più breve. Ad esempio, le misure che rafforzano l’autonomia e l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro con ricadute sull’occupazione dei giovani oltre che sulla formazione di nuovi nuclei familiari e quindi sulla natalità, che a sua volta riduce gli squilibri futuri.
Lo stesso vale per le politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia, come gli asili nido, che favoriscono nell’immediato l’occupazione delle donne con figli ma anche la scelta di avere figli per le donne occupate.
Tra la voglia di imprenditorialità e l’effettiva fattibilità di un progetto entrano in campo i sostegni del Governo. Per i giovani che avviano un’azienda da zero, o che hanno già iniziato e vogliono farla crescere, è fondamentale che il Governo agisca per promuovere l’accesso degli imprenditori under 40 a strumenti di finanza alternativa. In particolare, sostenendo lo sviluppo di operazioni di basket bond con strumenti disegnati a misura di imprenditori giovani. La cosiddetta ‘fuga dei cervelli’ è il secondo dei fenomeni da sottolineare poiché si manifesta in modo preoccupante e se accompagnato allo scenario instabile del mercato del lavoro, con un precariato molto forte (41% degli under 35), lo scenario di incertezza e di discontinuità lavorativa si fa ancora più preoccupante. È innegabile che l’Italia offra terreno fertile per l’innovazione e la creatività, qualità tipiche dei giovani imprenditori ed essenziali al mondo dell’impresa di qualsiasi settore di appartenenza.
Non possiamo però fare a meno di dire che oggi i giovani presentano anche priorità diverse da quelle del passato: digitalizzazione crescente, attenzione al cambiamento climatico, all’ambiente, alla sostenibilità e alla diversità, necessità di poter conciliare le proprie passioni e la vita privata a quella lavorativa. Tutte caratteristiche tipiche di una generazione e non quindi attaccabili o giudicabili.
È mutata la scala dei desideri che, in linea generale, vede i giovani maggiormente sfiduciati e li porta a mettere al primo posto la stabilità lavorativa, la sicurezza, la ricerca di distensione e solo dopo l’ambizione, il desiderio di lanciarsi in nuove avventure e sperimentare.
Le start-up giovanili, oltre a rappresentare l’espressione più proficua delle iniziative di auto-impiego, rappresentano il volano per il necessario ricambio generazionale, foriero di innovazione in tutti i settori. Negli ultimi cinque anni, ad esempio, le imprese fondate da under 35, oltre a guardare con maggiore interesse ai settori più innovativi, sono tornate a sentire il richiamo del mondo dell’agricoltura e delle tecnologie, prodotti e servizi a minor impatto ambientale in linea agli obbiettivi suggeriti dall’agenda 2030 Onu.
Anche le startup vanno supportate: la loro forza va ben oltre la mera importanza economica, seppur rilevante, perché rappresentano in termini di valore della produzione 2,7 miliardi di euro ed occupano circa 24.000 lavoratori in Italia ma anche per il loro valore sociale; si pongono come laboratori di idee costituendo terreno fertile per la crescita e l’innovazione. Sono convinto sia fondamentale lavorare anche in questo senso e continuare a promuovere politiche ed iniziative per l’impresa in ottica di visione strategica e competitività per il nostro Paese.
Investire oggi nelle start up innovative significa investire nel futuro del Paese. Siamo abituati a vedere Equity che investono, spesso senza contribuire con know how ma mera speculazione finanziaria, invece servono le nostre imprese a dare il corretto supporto alle startup, perché anche questo significa trasferire le competenze e lavorare sempre più in un’ottica di open innovation. Significa contribuire perché queste imprese emergenti possano avere maggiori possibilità di successo e di crescita. D’altro lato le aziende storiche, insediate e radicate nel mercato, dovrebbero sempre più conoscere come valutare le idee imprenditoriali per aiutarle, supportarle e finanziarle, non sono in una fase di lancio ma anche dopo l’avvio.
Dal nostro punto di vista, da parte delle istituzioni e della politica in generale, sostenere davvero le nuove generazioni e fornire loro un aiuto continuativo che attraversi le varie fasi di sviluppo dell’impresa e ne favorisca il passaggio generazionale potrebbe rivelarsi cruciale per il futuro economico del Paese. Ed è proprio questo lo spirito con cui opera il Gruppo Giovani Industriali di Cremona che ho il piacere di rappresentare.
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