+39 0372 404511

Cerca

IL COMMENTO AL VANGELO

L'umiltà come via alla Verità è il messaggio di Gesù

Superare la ricerca del riconoscimento e del potere. L’invito è rivolto non solo a rifiutare la logica del successo, ma a rivolgere l’amore verso i più vulnerabili, senza aspettarsi nulla in cambio

Don Paolo Arienti

31 Agosto 2025 - 05:20

L'umiltà come via alla Verità è il messaggio di Gesù

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
(Lc 14,1.7-14)

Nei mesi più caldi che ci stiamo lasciando alle spalle Luca ci ha aiutati, domenica dopo domenica, con precise e pratiche “istruzioni discepolari”, scaturite da contesti ed occasioni diverse, ma tutte accomunate dalla destinazione: noi che leggiamo, al pari di chi all’epoca ascoltava e vedeva, siamo interpellati sulle cose della vita, la nostra mentalità, la cura del nostro cuore e dei nostri desideri. Perché è lì che si radica e si manifesta la verità dell’essere discepolo: colui che ascolta, apprende, impara, segue e, nella logica cristiana, addirittura “prende il posto” del maestro nella quotidianità della sua vita. Le indicazioni che oggi Luca aggiunge, dopo averci avvertiti sul rapporto spasmodico con le cose e gli attaccamenti della vita, sembrano quasi banali. Appaiono ad una prima lettura come consigli da educande, come una rosa di precetti per anime pie, dimesse e, dunque, deboli. La debolezza è ciò che oggi la cultura diffusa teme di più: non è possibile, oltre che giusto, ammalarsi e smarrire il ritmo della vita; non è possibile generare un pensiero autonomo senza doversi schierare e farsi automaticamente dei nemici; non è possibile imboccare una strada alternativa a quella della difesa e del pregiudizio (rispetto ai vicini di casa, all’altro straniero, al popolo che mi minaccia).

Purtroppo, l’esito anche internazionale, e dunque mostruosamente lontano da noi, di questo processo lo si vede ogni giorno. La dottrina della deterrenza sembra fatalmente il male minore: un male necessario, per qualcuno comunque controllabile, indispensabile per contrastare altro male. Così, l’equilibrio precario dettato dalla forza e dalla prepotenza che fa camminare il mondo sul filo dell’abisso pare il meglio che una civiltà intelligente e colta sia in grado di produrre in quanti la dovrebbero preservare e far crescere, secondo un’economia che non è solo quella finanziaria. E dunque stare all’ultimo posto, rinunciando volontariamente alla poltrona d’onore, al palco reale, al vestito più appariscente… suona come una scandalosa rinuncia al potere che mi definisce e mi tiene in piedi. L’umiltà, che tante pagine spirituali ha sostenuto ed ispirato, viene relegata tra le cianfrusaglie di una coscienza infelice: quella del passato medievale, quella della religione che non consente al mio “io” di affermarsi. Il punto di vista di Gesù è sempre diverso e per un credente la fede avrà senso, sarà fonte di vita e non odore di morte finché questo Gesù saprà anche scandalizzare, smuovere, offrire ragioni altre rispetto al cuore indurito. Per lui è sempre una questione di punti di vista: dove – sembra chiederci nel brano odierno – ci si vede meglio? Dove la prospettiva è migliore? Davanti, ove lo sguardo è spasmodicamente impegnato nel catturare riconoscimenti e stalli di potere… oppure in fondo, dove si sta in compagnia di chi realisticamente non ha nulla da restituire, nulla da offrire e dunque ti inchioda al gratuito?

Ma non basta. Gesù alza terribilmente la posta chiedendo al suo ospite di invitare nemmeno i familiari, nemmeno gli amici, ma la feccia della società, quanti ci fanno repulsione perché diversi e sfortunati. L’elenco evangelico, con il mutare dei tempi, potrebbe essere aggiornato, ma le tipologie indicate sono fortemente evocative: si tratta di gente che non ha nulla, nemmeno l’integrità fisica per contare sul proprio corpo e le sue capacità. Si tratta di umanità indebolite, messe ai margini, svuotate di potere. Lì, ci dice Gesù, si cela l’occasione della vita: sperimentare davvero un amore puro, non condizionato. Vengono in mente i gesti di cura di genitori, ma anche figli diventati grandi, che si piegano su corpi straziati dall’handicap e dalla malattia: corpi, ovvero persone, bisognosi di tutto e che non potranno mai restituire secondo la logica del mondo. Vengono in mente gli operatori di pace che raramente siedono ai tavoli internazionali, ma si confondono tra le macerie dei conflitti, sulle ambulanze o tra improbabili strutture di soccorso, di ogni tipo. Vengono in mente le persone pure e trasparenti che non legano nessuno a sé, nemmeno perché sono insegnanti o educatori, e si limitano a generare libertà.

Sedersi negli ultimi posti anche oggi, come allora, può far vedere tutto questo. E può cambiare la prospettiva di una vita, sino a renderla beata.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400