IL MONDO TRA I BANCHI DI SCUOLA
31 Marzo 2024 - 13:00
CREMONA - Fissare il tetto massimo del 20% di presenze di studenti stranieri nelle classi: la proposta del ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara porrebbe fuori norma l’intera scuola cremonese che secondo i dati raccolti dall’Ufficio Statistica della Provincia vede la presenza di stranieri negli istituti pari al 20,7% del totale: 10.031 stranieri su un totale di 49.987. I dati risalgono all’annoi scolastico 2021/2022 e letti nel dettaglio registrano che un quarto dei bambini che frequenta le scuole dell’infanzia è straniero, la percentuale alle primarie è del 22,93%, del 21,46% alle medie. Alle superiori la percentuale è del 13,52% che sale al 24,44% nei corsi di formazione professionale. Ovviamente le percentuali sono destinate a mutare a seconda del contesto e del grado di scuole e la proposta di Valditara lascia perplessi i dirigenti.
«Per legge nelle classi non potrebbero esserci più del 30% di stranieri, ma già in molte scuole si va in deroga, quindi la proposta ministeriale fa perlomeno specie — spiega Maria Giovanna Manzia, preside dell’istituto Cremona 1 —. Alla Miglioli la percentuale di bambini non italiani è del 64,21% , del 42,59% a Sant’Ambrogio. In realtà, poi, molti bambini sono italiani figli di stranieri, bambini che hanno frequentato le scuole italiane. Stanno arrivando all’infanzia figli di stranieri di terza generazione che sono, a tutti gli effetti, italiani. Il tetto c’è già, ma è irrealistico. Invece di porre tetti e percentuali bisognerebbe poter lavorare su quanti arrivano direttamente dai Paesi di origine. Fra l’altro per rendere possibile la percentuale indicata dal ministero bisognerebbe aumentare il numero di classi e quindi anche l’organico».
Barbara Azzali, dirigente del Cremona 4, osserva: «Il ministro Gelmini aveva posto un limite massimo del 30% di alunni stranieri per classe, ma sempre più spesso si va in deroga — racconta —. La realtà delle scuole muta in base ai contesti e ordini di istruzione, non da ultimo bisogna anche considerare che molti studenti che arrivano alle medie sono stranieri solo giuridicamente, sono nati in Italia e hanno frequentato le scuole italiane». Simona Piperno, preside del Torriani, racconta come le presenze varino a seconda degli indirizzi: «Al liceo si sfiora il 10%, mentre nei corsi professionali superiamo il 43%: solo per fare due esempi all’interno di un medesimo istituto — spiega —. Se il limite del 20% presupponesse una maggiore attenzione all’inclusione e all’alfabetizzazione avrebbe un senso, ma da quanto letto l’intenzione non è quella».
E Daniele Pitturelli, preside dell’istituto Stradivari, osserva: «A liuteria la percentuale degli stranieri è pari al 72,81%. In questo caso che cosa dovremmo fare? La percentuale scende al 12,15% al musicale e al 14,08% all’artistico. E poi gli stranieri, per lo più adulti, a liuteria sono una cosa diversa rispetto agli alunni delle elementari». Nicoletta Ferrari, preside dell’Einaudi, racconta di come le percentuali mutino a seconda degli indirizzi: «All’enogastronomia la percentuale è del 43,48%, che diventa il 26,47% per l’indirizzo turistico — spiega —. A livello di istituto siamo al 21,92% di presenze straniere. Saremmo fuori norma». La sensazione è che dalla scuola arrivi un suggerimento al ministro: la realtà è un’altra e non va ignorata.
CREMA - Ridurre al 20% la percentuale di alunni stranieri per classe, come auspicato dai ministri Salvini e Valditara? Un’idea che potrebbe avere una qualche utilità, ma che è assai difficilmente realizzabile. Così la pensano i dirigenti scolastici cremaschi. «Il 20% è irrealistico, considerato l’andamento dei flussi migratori – afferma Paolo Carbone dell’Ic Crema Tre – ma al di là delle percentuali, il discorso va incentrato su come salvaguardare l’inclusione e non creare zone di disagio». Il Crema Tre ha avuto negli anni passati problemi relativi all’elevatissima presenza di alunni stranieri e ha saputo risolverli.
«Quando sono arrivato nel 2014, nel plesso di Curtatone c’erano anche classi con il 100% di stranieri. Ho fatto un regolamento molto dettagliato, che prevede la distribuzione degli scolari italiani e non nei vari plessi e attivato una sessione Montessori, che aiuta a riequilibrare la presenza. Col Comune abbiamo poi firmato un protocollo d’intesa che coinvolgeva i tre istituti comprensivi della città. Oggi siamo tra il 20 e il 30% in tutte le classi». Per la sua esperienza in materia, Carbone è stato più volte invitato a convegni per parlare del tema di linguaggi diversi in una scuola inclusiva.
«Fissare una percentuale — conclude il dirigente del Crema Tre — non basta, bisogna analizzare caso per caso, valutare il livello di alfabetizzazione, mettere insieme le diversità». Scettica sulla proposta di Salvini è anche Paola Orini, dirigente del Galilei: «Di per sé, l’idea potrebbe non essere sbagliata, se la finalità è evitare classi ghetto e favorire l’integrazione. Soprattutto andrebbe limitato il numero per classe di chi non conosce la lingua italiana. Per questi ragazzi servirebbero corsi di alfabetizzazione veri. In altri Paesi li fanno prima di inserirli in gruppo».
A scontrarsi con la proposta di Salvini sono anche limiti pratici. «Fermarsi al 20% di stranieri per classe – fa notare Orini – vorrebbe dire aumentare il numero delle classi e quindi delle aule e dei docenti. In sostanza, aumentare i costi per lo Stato». Distribuirne la presenza è possibile ma solo fino a un certo punto. «Alla scuola primaria e alle medie – prosegue la dirigente – non puoi dire a una famiglia di portare il bambino in un altro Comune perché il 20% è già stato raggiunto. Alle superiori, studenti e genitori scelgono il corso da frequentare. Se la percentuale sul corso di istituto tecnico è stata raggiunta, non puoi obbligarli a iscriversi a un liceo».
CASALMAGGIORE - Secondo la dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo Giuseppe Diotti di Casalmaggiore, Cinzia Dall’Asta, la proposta di mettere un tetto del 20 per cento al numero degli stranieri per classe non è praticabile. «Noi — afferma la preside — abbiamo situazioni in cui la percentuale è superiore al 30 per cento e porre un limite del 20 per cento si tradurrebbe in problemi logistici, perché dovrebbero essere costituite e autorizzate più classi. Questo significherebbe anche la necessità di un maggiore numero di docenti, quindi un maggiore esborso economico da affrontare, per spazi da reperire e organico. Comunque esiste già un tetto, pari al 30 per cento, per cui se lo si supera occorre andare in deroga».
Piuttosto di imporre dei tetti, ad avviso della dirigente, «sarebbe opportuno avere la possibilità di avere una alfabetizzazione continua e non sporadica». L’alfabetizzazione dei bambini stranieri, secondo la preside, rappresenta un pilastro fondamentale per il loro sviluppo personale, sociale ed educativo, oltre ad essere un mezzo cruciale per l’integrazione nella società ospitante. Questo processo non si limita semplicemente all'apprendimento della lingua, ma si estende a comprendere un insieme di competenze che consentono al bambino di navigare efficacemente nella cultura e nel tessuto sociale del nuovo ambiente.
Per i bambini stranieri, padroneggiare l’italiano significa poter accedere a un’educazione di qualità, comprendere i contenuti scolastici, interagire al meglio con insegnanti e compagni e, infine, sfruttare al meglio le opportunità educative disponibili. Per Dall’Asta «promuovere l’alfabetizzazione tra i bambini stranieri ha un impatto sicuramente significativo anche sulla coesione sociale».
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