31 Marzo 2024 - 07:00
«S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più. E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? Era una soluzione, quella gente». Sono versi di Konstantinos Kavafis, poeta e giornalista greco, tratti dalla lirica ‘Aspettando i barbari’. Piaccia o no, l’Italia è un Paese dove i ‘barbari’ sono già arrivati. Per dirla più gentilmente, siamo una comunità multiculturale, che ospita 50 diverse nazionalità con almeno 10mila residenti. La popolazione straniera costituisce l’8,4 per cento del totale e vive prevalentemente nel Centro-Nord, dove supera il 10 per cento; con il doppio di cittadini stranieri, la Lombardia presenta la percentuale più alta. Secondo i dati Istat 2023, al primo gennaio gli stranieri residenti in Italia erano 5.141.341.
La Fondazione Leone Moressa nel Rapporto annuale 2023 sull’economia dell’immigrazione mette in fila numeri e analisi del contributo - definito «cruciale» - dei cittadini stranieri. «Crescono, si moltiplicano e fanno girare l’economia a ritmi serrati. Gli immigrati residenti in Italia sono pilastri irrinunciabili del sistema Paese: sostengono crescita demografica e soprattutto il Pil con un valore aggiunto di 154,3 miliardi di euro, il 9 per cento del Prodotto interno lordo». Se dieci nuovi nati in Italia su cento sono cittadini stranieri, la loro integrazione coincide con il successo o l’insuccesso dell’intero Paese. Per questo appare fuori tempo l’invocazione del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, «la maggioranza degli alunni deve essere italiana», fissando il tetto del 20 per cento di presenze di studenti stranieri nelle classi.
Una proposta che secondo i dirigenti intervistati dal giornale porrebbe fuori norma e manderebbe in tilt l’intera scuola cremonese in cui, secondo i dati raccolti dall’Ufficio Statistica della Provincia, già oggi la presenza di stranieri negli istituti è pari al 20,7 del totale: 10.031 su 49.987. Se alle superiori siamo di fronte a un 13,52 per cento (ma si sale al 24,44 nelle professionali), la percentuale alle primarie è del 22,93 e del 21,46 alle medie inferiori. In realtà, esiste già il limite di legge del 30 per cento, ma è spesso superato. Una soluzione fin troppo semplice, quella del ministro, per un problema complesso; una frase arrivata dopo le polemiche sulla chiusura decisa per l’ultimo giorno di Ramadan dell’Istituto comprensivo Iqbal Masih di Pioltello, che ha avuto una riedizione - in piccolo - dalle nostre parti dopo la diffusione della circolare al corpo insegnanti firmata dalla dirigente dell’Ic Bertesi di Soresina, Daniela Romano, che incoraggia «a dimostrare sensibilità culturale e religiosa durante il Ramadan e a rispettare le pratiche religiose».
Ha detto il ministro: «Basta classi con troppi studenti stranieri. I valori della Costituzione italiana - assimilando la quale si costruisce una società ordinata, altrimenti è melting pot - possono essere appresi più facilmente se i ragazzi stranieri studieranno in modo potenziato l’italiano se non lo conoscono bene, se nelle scuole si insegnerà approfonditamente la storia, la letteratura, l’arte, la musica italiana, se i genitori saranno coinvolti pure loro nell’apprendimento della lingua e della cultura italiana e se non vivranno in comunità separate». L’espressione melting pot, che si può tradurre in ‘crogiolo’, è di origine americana e, per definizione, «sta a indicare il modello di società multietnica in cui dopo un certo tempo, segnato dal susseguirsi delle generazioni, le culture e le identità specifiche degli immigrati sarebbero destinate a fondersi con quelle del Paese di accoglienza. Un amalgama di gruppi sociali, individui, religioni e culture molto diversificati accomunati dal fatto di convivere e di doversi confrontare con l’identità nazionale legata al luogo in cui si trova».
Una coesione necessaria ma tutt’altro che facile da raggiungere. Ancora più difficile in una società come quella di oggi caratterizzata da nazionalismi e feroci contrapposizioni politiche in cui, come insegna Umberto Eco, «avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro». Sono forse nemici quei dieci nati in Italia su cento figli di cittadini stranieri? Sono cresciuti qui, parlano l’italiano, lo imparano fin dalle materne e lo studiano a scuola. Se ci fosse lo ius soli o lo ius scholae sarebbero italiani a pieno titolo (lo diventeranno al compimento del diciottesimo anno).
Tra l’altro, secondo i dati dello stesso ministero dell’Istruzione, se non si considerano i nati in Italia, la presenza degli stranieri nelle aule di ridurrebbe a percentuali risibili. Sono nemici i loro genitori senza il contributo dei quali, secondo le analisi economiche, andrebbe in grave sofferenza il sistema-Paese, già in affanno per mancanza di nuova manodopera? Prendiamo ad esempio il solo comparto dell’agrozootecnia, centrale nell’economia cremonese, in cui la manodopera straniera rappresenta ormai stabilmente un terzo della forza lavoro complessiva in termini di giornate attive. Secondo il XII Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Moressa, l’Italia avrebbe bisogno di circa 534mila lavoratori.
«Considerando l’attuale presenza straniera per settore il fabbisogno di manodopera straniera sarebbe di circa 80mila unità». In un mondo già fin troppo dominato da guerre devastanti anche a due passi da casa nostra, che gettano nubi molto oscure sul futuro prossimo, forse vale la pena di evitare di cercare nuovi fronti di scontro per ribadire la propria identità. E allora, adattandole al nostro piccolo universo locale e nazionale, è possibile fare tesoro delle parole dei due vescovi in occasione degli auguri pasquali che abbiamo pubblicato giovedì scorso.
Scrive monsignor Antonio Napolioni, presule di Cremona: «La chiamata rivolta a ciascuno è quella di ascoltare fino in fondo le proprie passioni, farne un discernimento umile e sapiente, magari con l’aiuto di qualche fratello o sorella più avanti nel cammino dell’autenticità interiore. E riconoscere così le passioni da far morire e quelle da far risorgere. Urge far morire, o almeno convertire, le passioni distruttive, seduttive, possessive e ossessive, che ammalano noi e intossicano di violenza (fisica o morale) le nostre relazioni. Urge sopire le passioni di guerra e far risorgere la passione per la pace, che è armonia e dialogo, non fuga dalla realtà». Gli fa eco da Crema monsignor Daniele Gianotti: «Ci sentiamo con le mani legate impotenti a sconfiggere il male con il bene ma esiste un orizzonte di convivenza e fraternità e c’è speranza per tutti». Coltiviamola questa speranza, se si vuole davvero essere costruttori di pace il primo ‘lavoro’ da fare, però, è dentro le mura di casa.
PS: a tutti i nostri lettori, alle loro famiglie e ai loro cari arrivino i più affettuosi auguri di Buona Pasqua da parte di tutta la ‘famiglia’ de La Provincia di Cremona e Crema.
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