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IL COMMENTO AL VANGELO

Giù la maschera e voce alla coscienza

Le parole di Gesù spingono alla trasformazione interiore, denunciando ipocrisie e cecità. Un invito a riscoprire il cuore e la responsabilità personale

Don Paolo Arienti

02 Marzo 2025 - 05:05

Giù la maschera e voce alla coscienza

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: ‘Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio’, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».
(Lc 6,39-45)

Prima il manifesto delle beatitudini; poi una sequenza di provocazioni sull’amore; infine, una serie di osservazioni sul cuore del discepolo in rapporto al suo maestro. Così, per tre domeniche, il vangelo di Luca ha dato conto del nucleo dell’insegnamento di Gesù: quello stesso rabbi che nella pagina precedente aveva affascinato le folle e convinto l’esperto pescatore Pietro a tornare in acqua e poi cambiare radicalmente vita.

Luca ha ben chiara la forza rivoluzionaria delle parole di Gesù: sa di rischiare l’utopia o fors’anche la contestazione di chi, in chiave molto pragmatica, potrebbe bollare certe affermazioni come impossibili, scandalose e addirittura ingiuste. Ad interessare nel Vangelo però non sono i calcoli di realismo, gli accomodamenti ragionevoli, ma gli orientamenti di fondo e le crisi necessarie perché si inneschi una trasformazione.

È come se Luca insistesse sul desiderio di cambiamento, sulla cura del cuore, sulla vigilanza ininterrotta su quanto ci rende davvero esseri umani e quanto, al contrario, dilania la nostra interiorità, dissipando le migliori energie che abbiamo a disposizione. Ecco, dunque, il terzo tempo di questa sezione dottrinale.

Ed ecco di nuovo l’imbarazzo dinanzi a parole aspre, dure, ma profondamente true. Il contrasto, forse, è ancora più evidente se posto davanti a quanto accade ancora oggi in noi e attorno a noi: che ci siano ciechi a guida di altri ciechi non è un’affermazione solo retorica. E la cecità che qui si contesta può assumere il tenore di un servizio manipolato, di una responsabilità avvelenata da interessi personali… insomma tutto ciò che rovina la capacità di cogliere, di vedere, la realtà.

Viviamo nell’epoca dell’‘infosfera’: i dati e il loro possesso, più o meno lecito, costituiscono l’autentico patrimonio. E i dati hanno perso il loro vincolo oggettivo: si possono manipolare, impiegare per distorcere o spostare interessi. Anche questa, forse più di tante altre, è una pervasiva e rischiosa cecità contemporanea.

Il collirio suggerito dal Vangelo non muta: fare pulizia innanzitutto con un’opera di realistica verifica su di sé; non starsene a guardare da lontano, come se in noi non fosse depositato, a mo’ di credito, un potere effettivo che attende di essere impiegato. L’ipocrisia è il male radicale da cui difendersi, e da cui ribellarsi.

Nell’antichità l’ypocritès era l’attore, colui che indossava la maschera teatrale. E dunque Gesù chiede con forza che sia tirata giù la maschera e che si abbia la coerenza onesta di guardare in faccia la realtà.

Occorre tornare ad ascoltare la coscienza, il sottofondo di umanitàaltro; che ci rende responsabili del bene e del male posti nelle nostre mani.

È bellissima la possibilitàavventura della giustizia e del ‘vederci bene’; perché si riceve davvero l’incarico di trasformarsi a propria volta in maestri, innanzitutto con la vita. Se sta a cuore lo spendersi, l’uscire da sé e dal proprio recinto.

Abituati come siamo ad accomodare tutto e a farla franca in un clima di conflittualità che ci prosciuga l’anima, sentirci dire che possiamo essere alberi buoni o cattivi, giudicabili dai frutti che portiamo, non è certo simpatico. Ci potremmo anche irrigidire ed erigere barriere di difesa. Ma spesso affermazioni taglienti e lapidarie come queste fanno bene all’animo: fungono da ricostituenti… come un vaccino inoculano un agente che mette in discussione e reclama una reazione.

Per una volta buona non deve essere la politica o la societàmio cuore, della mia posizione dentro la vita che sto conducendo. La massa informe della moda o della depressione qualunquistica qui non c’è. Ci sono solo io con la consapevolezza adulta del mio stare al mondo. Un altro grande regalo del vangelo di Luca che non si accontenta delle apparenze e delle forme, ma spinge in tutt’altra direzione.

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