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A 80 ANNI DALLA FINE DELLA GUERRA

«La storia di mio zio morto in Germania per il suo ‘no’ alla Rsi»

Il cremasco Daniele Vailati ha avuto la medaglia d’onore alla memoria della Prefettura

Barbara Caffi

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bcaffi@laprovinciacr.it

26 Febbraio 2025 - 10:24

CREMA - Aveva 27 anni compiuti da poco, Daniele Vailati. È il 24 febbraio del 1944 quando le bombe alleate colpiscono Schweinfurt, in Baviera, dove il giovane militare cremasco è deportato per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica sociale italiana. «Ha voluto rimanere fedele al giuramento al re che aveva fatto anni prima, quando è stato richiamato», spiega il nipote che si chiama anche lui Daniele Vailati. Nei giorni scorsi a Vailati è stata consegnata dal prefetto Antonio Giannelli la medaglia d’onore alla memoria, concessa a quanti hanno vissuto la tragica esperienza della deportazione nei campi di concentramento nazisti e del lavoro forzato durante la seconda guerra mondiale.

«Mio zio - ricorda Daniele Vailati - era nato a Crema, a San Bernardino il 5 febbraio del 1917. Aveva fatto le elementari, poi aveva imparato a fare il falegname e lavorava alla Fabbrica d’organi Tamburini». Secondo il foglio matricolare, Daniele è soldato di leva a vent’anni e il 22 giugno del 1937 ottiene il congedo illimitato. È un congedo che tuttavia dura poco: l’Italia di Mussolini in quegli anni sta galoppando verso la guerra. Vailati è «richiamato alle armi il 25 Maggio 1939 al 65° reggimento fanteria mortai passato in aggregazione quartier generale del comando corpo d’armata corazzato Mantova il 29 agosto 1939», un paio di giorni prima che la Germania invada la Polonia. Vailati è trattenuto alle armi nel novembre del ’39, mobilitato l’11 giugno dell’anno successivo non appena per l’Italia arriva «l’ora delle decisioni irrevocabili». Già il 21 giugno, Vailati è in «zona dichiarata di guerra».

Raggiunge l’Albania e da lì riesce a mandare a casa alcune fotografie che lo ritraggono sia in divisa che in momenti di riposo. In una - che quasi di sicuro lo rende particolarmente orgoglioso - inforca una motocicletta, una Guzzi Alce che per anni è stata in dotazione all’esercito italiano. Non sempre Daniele riesce ad andare in licenza, come dimostra il pagamento prima di 155 lire e poi di 223 lire per i giorni non fruiti. Nell’estate del 1942, Daniele Vailati è di nuovo in Italia, a Mantova e a Verona dove risulta «in aggregazione al 32° reggimento fanteria carrista». Nel febbraio del 1943 è a Roma, «trasferito al 36° battaglione distrettuale».

L’8 settembre, quando viene reso noto l’armistizio di Cassibile, Vailati cerca di tornare al nord. Come migliaia di altri soldati, lasciati senza ordini, Daniele si libera della divisa - è commovente pensare a quante donne hanno donato a dei ragazzi sconosciuti gli abiti di figli, mariti e fratelli - e si avvia verso Crema. A piedi, cercando qualche passaggio di fortuna, mangiando quello che può, nascondendosi dagli occupanti tedeschi e dai militi fascisti.

In qualche modo, Vailati riesce a raggiungere la cascina dove abita con i suoi. È una famiglia numerosa, quella dei Vailati: oltre a Daniele, ci sono Pina, Egle, Francesco, Teresa, Rachele, Mario e Attilio. Papà Giuseppe è capo stradino, come lo sarà anni dopo Attilio. Mario studia in seminario, ma non si farà mai prete. Resta però legato alla Curia e per anni gestirà l’Istituto San Luigi. Francesco, invece, fonderà l’associazione sordomuti di Crema e, per questo, sarà insignito del titolo di cavaliere della Repubblica.

Ma torniamo a Daniele e alle sue ultime settimane di libertà. È nascosto in casa, relativamente al sicuro. Si fida dei vicini, si fida della gente del quartiere. E commette un’imprudenza. Stanco di stare chiuso in casa, Vailati va all’osteria Crotti. Qualcuno lo avvisa che i fascisti lo stanno cercando, lui prova a scappare, si rifugia in una botte mezza vuota ma lo trovano subito. È il 20 settembre del ’43. A tutti gli effetti diventa un Imi, un internato militare italiano. Sono oltre seicentomila quelli come lui, soldati che si rifiutano di aderire alla Rsi e vengono deportati in Germania, forza lavoro coatta e schiavile. Hitler, con il beneplacito di Mussolini, non li considera prigionieri di guerra perciò non sono tutelati dalla Convenzione di Ginevra né dalla Croce rossa.

Nella ricostruzione della Prefettura, «il Sig. Daniele Vailati, classe 1917, fu catturato il 20 settembre 1943 e deportato nello Stalag XIII C dislocato ad Hammelburg (un paese a una trentina di chilometri da Schweinfurt, ndr). A partire dal maggio 1940, sul lato sud del campo vennero costruite delle baracche di legno per ospitare prigionieri di varie nazionalità. I primi ad arrivare furono soldati olandesi, belgi e francesi catturati durante l’invasione ‘Blitzkrieg’ della Francia nel 1940, l’anno successivo i Serbi, i Polacchi e, nell’estate, soldati russi provenienti dal fronte orientale. Alla fine di settembre 1943 arrivarono gli Italiani. Il Sig. Vailati perse la vita il 24 febbraio 1944 per un bombardamento aereo».

Daniele Vailati è quindi costretto a lavorare a Schweinfurt, una cittadina sulle rive del Meno. Ci sono diverse fabbriche di cuscinetti a sfera, indispensabili per l’industria bellica. È per colpire le fabbriche che gli Alleati organizzano, dal 20 al 25 febbraio 1944, l’Operazione Argument, bombardando sistematicamente la zona per oltre una settimana, in quella che sarebbe stata definita la ‘big week’. Nonostante gli attacchi massicci e ripetuti la potenza dell’industria bellica del terzo Reich viene solo scalfita. Nei bombardamenti, tuttavia, muoiono molti prigionieri e fra loro anche Daniele Vailati. Qualche settimana prima aveva scritto a casa.

«Caro Babbo, la mia salute è sempre ottima e così spero sempre anche della Vostra», scrive. Una bugia, quasi certamente, che ha il duplice obiettivo di schivare la censura e soprattutto di rassicurare i familiari. Daniele - il suo numero da prigioniero è 16403 - chiede un pacco «che non sia più di cinque chili, una maglia, dei viveri e sigarette».

L’11 gennaio 1945, il Ministero degli Affari Esteri comunica al podestà di Crema la morte di «Vailati Daniele di Giuseppe Soldato» «per la regolarizzazione anagrafica e la trasmissione con le opportune cautele, della notizia alla famiglia». Vailati viene sepolto «con gli onori militari» a Schweinfurt, nella fila 24 tomba 101. In realtà, la salma è stata traslata successivamente nel Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno (riquadro J, fila 4, tomba 9).

«Nessuno ha mai avvisato la famiglia - spiega Daniele Vailati, il nipote -, un mio parente ha cercato la tomba a Schweinfurt senza esito. L’ho trovata io in Internet, grazie al sito dimenticatidistato.com di Roberto Zamboni. Ci tengo che mio zio venga ricordato, la memoria è importante. In un museo ho anche fotografato questa frase di Amy Tan: ‘Cos’è il passato se non ciò che scegliamo di non dimenticare?’».

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