04 Gennaio 2023 - 05:25
CREMONA - «Martin Heinz von Bora è investigatore a tempo perso, ma molto determinato. Indaga su crimini individuali mentre il grande crimine della seconda guerra mondiale viene consumato con sei milioni di vittime dell’Olocausto e 60 milioni di morti in tutto il mondo. Sembra quasi uno spreco del suo tempo risolverli, eppure crede che ogni vita valga, anche quella che è sottratta violentemente. Quindi investiga mentre fa la guerra». Ben Pastor, giallista e storica italo americana, fornisce così l’identikit del suo eroe letterario, colonnello dell’Abwehr, il servizio segreto militare tedesco, che ha appena riportato nelle librerie con «La Venere di Salò». Un personaggio liberamente ispirato a Claus Schenk von Stauffenberg, tra i promotori del fallito attentato ad Adolf Hitler. Ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista per «Tre minuti un libro» online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it.
Non è un nazista, Bora, anzi, lavora per gli 007 dell’esercito che notoriamente furono invisi e opposti alla dittatura al punto tale da essere completamente smantellati, diversi loro membri furono imprigionati e uccisi. La Venere di Salò è il dodicesimo romanzo dedicato alla figura del nobile ufficiale, è la biografia di un personaggio tragico che, sulla base di una meticolosa ricostruzione storica, mediante la chiave del thriller scava in uno dei drammi o dei misteri della storia novecentesca: la posizione di quei militari tedeschi che si trovarono divisi tra la lealtà alla divisa e l’avversione a Hitler.
Bora ha sottratto alla morte parecchie vite nel corso degli 11 romanzi precedenti e ora arriva il redde rationem: da pochi mesi è fallita l’Operazione Valchiria, la congiura più pericolosa contro Hitler a cui è seguita una terrificante decimazione di ufficiali sospetti oppositori. E proprio quest’ultima circostanza sta per bruciare il nobile colonnello, contro il quale, ora privo di protettori, la Gestapo ha istruito un minaccioso dossier e lui viene prelevato con modi assai bruschi dalla Gestapo e trasportato a Salò, nella Repubblica Sociale Italiana. C’è di che allarmarsi.
«C’è sempre un momento in cui bisogna pagare il conto del nostro agire - spiega la scrittrice -. Martin rischia e la sua generosità è vissuta da altri come un tradimento. Quindi è il momento in cui perde praticamente tutto quello che ha e deve semplicemente cercare di sopravvivere». Siamo nell’Italia della Repubblica di Salò, gli americani avanzano, i partigiani sono alle porte e lui si deve immergere nella vicenda che parte dal furto di una meravigliosa opera d’arte: la Venere di Salò, attribuita a Tiziano. Nel corso dell’indagine finisce per confrontarsi anche con una Venere in carne e ossa, una donna che in qualche modo fa da contraltare alla misteriosa e affascinante Venere ritratta.
E questa è un’altra piccola guerra privata. Tutto avviene in una Salò distrutta, «diciamo che è un fascio allo sfascio, Bora si trova nel mezzo di un contesto totalmente a pezzi nel quale deve in qualche modo gestire se stesso e ciò che lo circonda ed è molto interessante farlo camminare sul filo del rasoio». Il dipinto è stato rubato dalla casa del milionario Pozzi, rozzo affarista arricchitosi con i traffici di guerra. È una grande tela, un’immagine irresistibilmente sensuale e carica di arcani simbolismi. Chi l’ha rubata e soprattutto perché? Per poterne tracciare i movimenti, Bora deve inoltrarsi in una foresta di opposti interessi, di passioni ardenti, di lotte interne al regime e tra fascisti e nazisti.
Sul furto si innestano una serie di altre situazioni ci sono degli omicidi tre belle donne che sembrano quasi avvertimenti a Bora per dirgli ‘stai quieto’. «È un’osservazione molto acuta perché molto spesso nei romanzi di Bora c’è una specie di ombra del futuro, una sorta di avvertimento subliminale. Questo è un personaggio molto sensibile alle avvisaglie, allo stesso tempo, come lui stesso ammette, più una situazione è pericolosa più lui si trova a rincorrerla. In una specie di cupio dissolvi, un atteggiamento nei confronti del morte che comporta rischi profondi». Bora è uomo tormentato da dolori, ha perso una mano durante un’azione, ma è travagliato anche da dolori interiori che non stanno solo nel rapporto con il nazismo, ma anche con le grandi domande della vita. È un soldato filosofo.
«Non è vero che l’intelletto e la cultura necessariamente ci rendano migliori. Purtroppo grandi crimini sono stati commessi da persone coltissime. Bora ha sensibilità e conosce la musica, la filosofia e l’arte, è un uomo giovane ma completo, si rende rapidamente conto di che cosa è il meglio e lui deve fare scelte, che però sono anche potenzialmente disastrose. Ed è proprio la sua cultura ad aiutarlo». Un ragionamento più che mai attuale, assicura la scrittrice, «perché oggi in Italia stiamo assistendo allo svilimento della cultura, una finanziaria dopo l’altra, niente viene dato all’arte e alla cultura alla scuola. Questo sì è qualcosa a cui dovremmo badare, ma noi non lo facciamo, senza neppure avere la scusante di una guerra mondiale sul groppone.
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