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Solo lo stato sociale salva la democrazia

'I padroni del mondo': L’economista Alessandro Volpi punta il dito contro lo strapotere dei grandi fondi finanziari

Paolo Gualandris

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23 Luglio 2025 - 05:25

CREMONA - Il concetto di sovranità degli Stati è da riscrivere, tanto quanto quello di democrazia, almeno per come l’abbiamo inteso fin qui. In Italia, come nel resto del mondo. A sostenerlo non è uno dei complottisti che evocano cospirazioni volte a un nuovo ordine mondiale gestito da fantasmi come la Commissione Trilaterale o gli Illuminati del Gruppo Bilderberg, ma l’analisi di una realtà sotto gli occhi di tutti: più forti dei singoli Stati, i fondi speculativi, a cominciare dalle big three Vanguard e BlackRock e State Street Corporation, rappresentano il nuovo potere.

PRIVATIZZAZIONE SELVAGGIA

A sottolinearlo è Alessandro Volpi, docente di storia contemporanea all’Università di Pisa, con il libro ‘I padroni del mondo, come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia’. Il professore ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista. Ancora marginali all’inizio del nuovo millennio, questi fondi hanno cavalcato le crisi beneficiando dell’operato delle banche centrali e dei governi e hanno sfruttato, accelerandolo, il processo di smantellamento degli Stati sociali e di privatizzazione della società. L’economia di carta che sostituisce quella reale, fatta di lavoro, produzione e concorrenza; salute, previdenza, infrastrutture e beni pubblici in mano a pochissimi grandi player la cui logica è solo quella di garantire rendimenti finanziari e breve. Un vulnus democratico, anche perché, come spiega Volpi, sono tanto potenti da essere in grado di orientare le decisioni dei Paesi rispetto alla scelte economiche e sociali. Per esempio a un Governo possono garantire acquisto del debito (i titoli di Stato) in cambio però di riforme o liberalizzazioni.

NELLE MANI DI TRE BIG

Detta così è troppo brutale? «No. Il libro racconta la storia dei grandi fondi finanziari, in particolare i tre che oggi hanno un grandissimo rilievo dopo la crisi del 2008 negli Stati Uniti, acquisendo un peso crescente. Sono riusciti a rastrellare qualcosa come 50.000 miliardi di dollari di risparmi e li hanno utilizzati per acquistare titoli azionari nel listino più importante del mondo, lo Standard. Sono diventati determinanti perché hanno legato alle proprie sorti milioni di risparmiatori, che ora dipendono dai loro andamenti per quanto riguarda i fondi pensione, previdenziali e sanitari. Al tempo stesso sono stati gli artefici della gigantesca bolla finanziaria degli ultimi anni, in modo particolare prima della presidenza di Trump, con la concentrazione in alcuni titoli delle cosiddette big tech, in testa Amazon, Google, Meta, che con la loro enorme liquidità hanno determinato anche l’andamento del prezzo dei titoli a prescindere dal loro reale valore».

La conseguenza è che il valore dei titoli di Borsa non dipende più dagli andamenti reali di quelle società, ma dagli acquisti di azioni da parte dei fondi. Un esempio nel raffronto fra Tesla e Volkswagen: la prima ha un milione di auto prodotte ed è arrivata fino a mille miliardi di capitalizzazione, la seconda ‘vale’ dieci milioni di auto ma capitalizza un miliardo.

«Tesla, tra l’altro, in questo momento è un caso veramente molto particolare perché ha dipeso la sua enorme fortuna in termini di capitalizzazione prevalentemente da un legame politico con Trump, tanto è vero che da quando quel rapporto si è rotto e quindi non ha più beneficiato dell’afflusso di fondi dei grandi gestori patrimoniali, ha più che dimezzato il suo valore . Ciò dimostra che la capitalizzazione arrivata a sfiorare i mille miliardi era assolutamente fittizia. Questi grandi fondi - spiega Volpi -, determinano i prezzi delle azioni e la capitalizzazione, spesso a prescindere dal valore reale della produzione, dal numero degli occupati e persino dei margini operativi reali». Viene da chiedersi come tutto ciò sia stato possibile.

ABDICAZIONE DELLA POLITICA

«La politica avrebbe dovuto contrastare il fenomeno, ma al contrario l’ha addirittura assecondato. Si è affermato progressivamente un modello per cui lo Stato sociale non è più in grado di finanziare servizi garantiti in passato come pensione e sanità pubblica».

Mettiamoci nei panni del risparmiatore: com’è possibile che dopo l’opera di smantellamento dello stato sociale continui a fidarsi dei fondi? «Nel momento in cui si assiste alla ritirata degli stati sociali, il risparmiatore finisce inevitabilmente nelle mani dei grandi fondi, gli unici a poter garantire in qualche modo rendimenti crescenti o stabili. Il vero problema è che nel momento in cui si affida loro, il cittadino sa perfettamente che quel fondo diventerà sempre più determinante nella vita del suo stesso Paese, quindi tiferà per ulteriori privatizzazioni dei servizi. Dal punto di vista culturale, la necessità sarebbe quella di evitare lo smantellamento dello stato sociale, perché è evidente che la ritirata dello stato sociale genera un accrescimento del potere di questi fondi. Con la conseguenza che cittadino, si disinteresserà della politica essendo molto più attento all’andamento di BlackRock che non a quello del proprio del proprio Paese. In una condizione però che, come sappiamo, genera ulteriori disuguaglianze».

ITALIA TERRA DI CONQUISTA

E l’Italia? Volpi mostra la tabella dei principali 20 maggiori gestori patrimoniali al mondo, neppure uno dei quali è tricolore. «Siamo terreno di conquista. Per dimostrarlo basterebbe un dato: la Borsa di Milano, capitalizzata intorno ai 900-1.000 miliardi di euro, ha come principale azionista, cioè come soggetto con il maggior valore azionario nel listino, proprio BlackRock».

Il sistema della telefonia fissa fa capo a Tim, che però è nelle mani dell’americano KKR, legato ai grandi fondi, così come le autostrade sono controllate da un fondo; in buona parte delle partecipate come Eni, Enel, Terna, Snam, i fondi sono spesso i secondi azionisti con una sempre più ridotta presenza dello Stato. In alcuni casi sono addirittura i primi. Con buona pace dei capitani coraggiosi.

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