25 Giugno 2025 - 05:25
CREMONA - Lo chiamano affettuosamente Fottigin Scotizzoso, ficcanaso sporcaccione, perché da bimbo guardava dal buco della serratura la madre prostituta alle prese con i suoi clienti. Poi gliel’hanno uccisa e in lui è cresciuta la voglia di scoprire l’assassino dopo che le indagini ufficiali erano approdate al nulla. Mariolino Migliaccio però non è un poliziotto, non ha né un ufficio né una licenza, è investigatore per necessità, un uomo ai margini che conosce bene le ombre di Genova, perché ci è cresciuto dentro. E in quelle ombre scava per indagare sulla madre e su misteri in cui incappa quasi per caso.
Perché lui è un uomo che inciampa, dubita, si sporca le mani ma non smette mai di cercare la verità, anche quando fa male. Mariolino è l’eroico uomo qualunque ideato da Bruno Morchio, che con ‘La morte non paga doppio’ regala al lettore la sua seconda avventura. La prima, ‘La fine è ignota’, ha fruttato il Premio Scerbanenco. Stavolta Mariolino incappa in un intreccio torbido di speculazioni edilizie, lavoro nero e omicidi. Morchio parla del suo romanzo, un noir denso di umanità dolente, sarcasmo e amarezza, nella videointervista online da oggi sul sito. Con una premessa. A pagina 30 si legge: «I romanzi gialli sono bugiardi e la gente farebbe meglio evitarli come la peste perché raccontando un mondo dove alla fine i conti tornano sempre sono solo pura propaganda». Come la mettiamo visto che il libro è pubblicato della collana Nero Rizzoli? «Perché non è un giallo. Diciamo che, se dovessi essere ascritto a un genere, direi al noir mediterraneo, quello che chiamano polar, cioè una narrazione della realtà in cui i conti non tornano mai e in cui il detective non aggiusta il tessuto sociale spezzato dal crimine, ma si limita a tamponarlo nella consapevolezza che non è il prodotto della cattiveria di un singolo, ma sempre la manifestazione di una società malata». E Mariolino è costretto a entrare in un mondo torbido, trovandosi a rovistare dentro la spazzatura dell’umanità. «Diciamo che un po’ in tutti miei romanzi questo succede. Però Mariolino lo fa in modo particolare perché è un picaro, in quanto figlio di una prostituta assassinata non ha risorse, vive in una pensione che sembra la corte dei miracoli, riceve i clienti in un bar. È un abusivo, un precario e, in quanto tale, icona della nuova generazione di giovani. Ridotto ai margini della società, nel momento in cui cerca di fare qualcosa di buono per gli altri è pure consapevole che il detective non può essere un cavaliere senza macchia e senza paura, deve scendere a compromessi con la propria coscienza perché la realtà glielo richiede se vuole sopravvivere».
Questa la vicenda. Viene trovato un giovane rumeno morto con una siringa nel braccio e la colonna vertebrale spezzata, Alina, la compagna con la quale ha un figlio di tre anni, non è affatto convinta che si tratti di un’overdose perché lui non era eroinomane. Mariolino viene coinvolto da Milca, una ragazzina albanese da lui salvata da un giro di prostituzione minorile, che gli chiede di indagare su quella morte sospetta. Non si tira indietro pur sapendo che non ci avrebbe guadagnato neppure un centesimo. Con l’aiuto di un ispettore scorbutico, scava a fondo finendo per scoprire che il giovane in realtà è caduto dal ponteggio in un cantiere edile dove lavorava in nero e senza nessuna garanzia, gestito da una ditta affiliata alla ’ndrangheta.
Per non avere grane, i datori di lavoro l’hanno portato sulle alture di Genova, gli hanno praticato un’iniezione e l’hanno buttato di sotto. Quante volte nelle nostre cronache abbiamo dovuto raccontare casi come questo. Morchio scava dunque nella zona grigia del rapporto tra mafie ed economia legale, in cui c’è chi si adegua in nome del guadagno andando a rovistare nelle pieghe più oscure dei meccanismi sociali che generano questa collusione. Ben sapendo di infilarsi in una situazione fortemente rischiosa, Mariolino decide di rompere la regola che nel romanzo è definita «quella di un mondo dove si è persa la capacità di mettersi nei panni degli altri» e accetta una sfida che potrebbe costargli cara. «Fa cose che vanno contro ogni logica perché pone anche la vedova nella condizione di rischiare, lei e suo figlio. In qualche modo la ribellione finisce per non essere morale perché produce più danni di quelli derivanti dall’assoggettarsi al male. Tanto che Alina gli dice che non può accettare l’idea di proseguire una relazione con lui perché questa suonerebbe come una sorta di vendetta contro il marito e finirebbe per essere un tradimento della sua memoria, soprattutto agli occhi del figlio».
Tutto questo ha come sfondo Genova, amata profondamente dallo scrittore, ma anche oggetto di una fortissima critica. «Devo dire che ultimamente ho fatto pace con la mia città dopo anni in cui ero in gravi difficoltà a viverci. Un luogo in grande sofferenza, che fatica a tirarsi fuori dalle secche in cui finita, anche per ragioni anagrafiche: è molto vecchia perché di giovani non solo ce ne sono pochi, ma quei pochi se ne vanno. Una città per loro matrigna, in cui il lavoro, essenzialmente offerto dal turismo, è prevalentemente precario. Spero che adesso si riesca a innescare un meccanismo che in qualche modo rovesci questa situazione a partire soprattutto dalla ricerca, dall’università e dal porto, tre grandi volani di un possibile sviluppo di questa città che forse è il sud del nord».
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