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24 Agosto 2022 - 05:15
CREMONA - «A me interessano molto i sentimenti della quotidianità, nel senso che capisco benissimo il fascino degli eventi eccezionali, ma in realtà noi viviamo vite abbastanza comuni e riuscire a rendere le schegge di eccezionalità che si incuneano nei giorni di ciascuno di noi credo che sia una sfida altrettanto interessante che descrivere un grande seria killer».
Alessandra Sarchi, finalista al Premio Chiara 2022 e vincitrice del Premio Selezione Campiello con «La notte ha la mia voce», con il suo nuovo libro «Via da qui» indaga nell’intimo lo smarrimento di donne e uomini che cercano il loro posto in un mondo dove tutto subisce accelerazioni e crolli, e i miti prodotti dalla società dei consumi decadono, e scadono, come merci. Uno smarrimento che ci riguarda da vicino perché la loro malinconia, il loro desiderio di fuga e la speranza di ripartire da capo, da qualche parte, sono molto comuni. Cinque racconti in cui essenzialmente protagonista è un’umanità, soprattutto femminile, in fase di trasloco fisico e interiore.
Ogni trasloco prevede uno spazio fisico fino a quel momento abitato, e proprio la casa è uno degli elementi comuni di tutti e cinque i racconti. «Da luogo che dà sicurezza e che viene considerato certo è diventato in realtà un po’, anche a causa della recente pandemia, luogo potenzialmente tossico. Per le nuove generazioni l’avere una casa, un posto in cui ci si sente ancorati, forse non è più così tanto una necessità», spiega la scrittrice.
Nei racconti c’è una doppia valenza - il trasloco fisico e quello dell’anima perché si passa da una vita all’altra - e si parla anche d’amore. «Tutti i racconti hanno delle relazioni al loro centro - sottolinea Sarchi-. Volendo addentrarsi nei cambiamenti di queste persone, ovviamente è ineludibile affrontare anche il tema della relazione, perché noi siamo esseri che si definiscono all’interno della relazione, che sia amorosa o di amicizia non cambia».
Queste sue sono storie di crepe esistenziale, fisiche, di legami che il tempo inevitabilmente ha reciso o allentato, dove l’unica ancora che resta è la misericordia verso di sé o la forza dell’amicizia. Eccole, in estrema sintesi.
Una giovane donna perde la sua compagna in un incidente, ma a decidere se espiantare o noi suoi organi saranno i genitori. «Sono entrambe molto giovani, stavano iniziando a costruire una vita in cui peraltro il loro legame non era ancora del tutto dichiarato. Quindi già questo era un problema fra pubblico e privato, cioè quanto della nostra vita privata entra in quella pubblica».
C’è poi una bambina che tiene il diario delle vacanze mentre una zia, da tempo trasferitasi negli Stati Uniti, ora vorrebbe comprare una casa sull’argine del Po perché la sua vita non continui a franare dopo il divorzio.
«Vuole tornare nel paesino da cui era venuta e in fondo non le è ben chiaro neanche perché, una spinta esistenziale forse a ritrovare una parte di sé».
Protagonista del terzo racconto una coppia che vive abusivamente nel sottotetto di un palazzo nobiliare a Bologna e campa di espedienti. «Due squinternati, potremmo definirli persone che in una qualche misura si ribellano al sistema di corruzione accumulo e produttività all’interno del quale siamo tutti quanti coinvolti e attuano una loro abbastanza utopica forma di ribellione occupando un palazzo al centro della città».
Nel quarto racconto si va in California. Un donna svuota l’ultimo cassetto per lasciarsi alle spalle un’esistenza sbagliata.
Infine si racconta di un gruppo di amici che si ritrova in cima a un’altana, a Venezia, a ragionare sulle proprie rese e su quanto le loro vite si siano allontanate da quelle che avevano immaginato da giovani. «Erano stati compagni di università e questo loro ritrovarsi è fonte di riflessioni e di bilanci su quello che sono stati, con l’ammissione di molti fallimenti. Però anche del conforto che la l’amicizia sia una forma comunque di collante per ciascuno di loro, una fonte di di sostegno reciproco. È un ancoraggio e quell’ancora che di fatto poi nella vita manca nelle cose materiali».
Un ancoraggio che si nota anche in due mani che si intrecciano, nel capo cantiere che trova una soluzione al problema degli «squinternati»: in realtà è un libro di speranza, anche se in molte recensioni su questo libro si punta l’accento soprattutto sullo smarrimento e sulla malinconia. «Come si sa, ognuno di noi legge i libri quasi a volerci trovare un proprio rispecchiamento. Secondo me ci sono entrambe le cose. Ho descritto situazioni che non sono statiche e nel movimento c’è sempre qualcosa che noi lasciamo ma anche ciò verso cui protendiamo. Il fatto stesso di averlo infonde speranza, una forma di energia: il tendere verso è forse il momento migliore della vita più che l’aver centrato l’obiettivo».
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