10 Settembre 2025 - 05:30
CREMONA - «Io sono fermamente convinta dell’inesauribile sete che tutti noi esseri umani abbiamo di qualcosa di più, di qualcuno che risponda e ci plachi».
Carola Susani, autrice de ‘Il Dio delle genti’, crea questo «qualcuno», Italo Orlando, che accompagna i protagonisti delle sue storie nel tentativo di colmare «la nostra arsura. Di volta in volta cerchiamo di riempirla con le cose più inverosimili. In tutto questo forse Italo Orlando non è la creatura più inverosimile, anche se probabilmente non riempie precisamente quel vuoto, quel buco. Io scrivo a partire da questa idea di sete che ci tormenta».
Questo nuovo romanzo è l’ultimo capitolo di una trilogia ideale i cui volumi sono legati dalla presenza fantasmatica di Italo: dopo ‘La prima vita di Italo Orlando’ (2018) e ‘Terrapiena’ (2020), il terzo è, come i due romanzi che lo precedono, perfettamente leggibile anche come stand-alone.
Una storia raccontata dall’autrice con una lingua ipnotica e visionaria e un immaginario fiabesco e mitologico. Susani ne parla nella videointervista ‘Tre minuti un libro’, ascoltabile online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it.
L’antefatto risale all’estate 1985 ed è ambientato a Carrone, cittadina del Sud in cui il diciottenne Giuliano s’imbatte in un giovane avvolto da fiamme che misteriosamente non lo bruciano. È Italo Orlando, appunto: ha pelle giallognola, provenienza ignota, sembra un extraterrestre caduto sulla terra per portare scompiglio.
Salto in avanti, marzo 2002: una scossa di terremoto fa crollare il tetto di una palestra. Muoiono otto bambini, tra cui Eugenio, il figlio di Giuliano. Tra le macerie a qualcuno sembra di scorgere Italo, che da quel giorno, e per molto tempo, nessuno vedrà più. Che cosa è successo tra questi due momenti lo racconta Piera – l’altra figlia di Giuliano – che tenta di ricostruire, tra ricordi suoi e narrazioni riportate da altri, una realtà incrinata da molti dubbi.
Il crollo fu solo una disgrazia? Cosa c’entrano Giuliano e la sua fabbrica di laterizi in questa tragedia? Il racconto di Piera, compone un romanzo di formazione deforme e dolorosissimo, tra la dimensione intima e la sorte collettiva, con una riflessione su tutte: in che modo la mediocrità di un’architettura può influenzare, arrivando a stabilire, le sorti di una famiglia?
Italo «è una specie di Dio minore e che appare in alcuni momenti della storia di un paese e si avvicina a famiglie, a persone. Normalmente quando qualcuno chiede qualcosa alla vita, esprime un desiderio. Come un genio della lampada apparentemente promette una fortuna. Incontrò la prima famiglia in un campo di mandorle. In questo caso Italo come un angelo cade dal cielo; infuocato ma in realtà le fiamme non lo bruciano. Sono fiamme che bruciano l’essere umano che lo soccorre, cioè Giuliano».
L’altra caratteristica di Orlando è di avere più o meno sempre la stessa età quando appare in epoche molto differenti: la prima volta è negli anni Cinquanta del secolo scorso, la seconda nel 1970 e la terza nel 1985. In questo caso, Giuliano, il protagonista, ha un desiderio inespresso, vorrebbe rimettere in piedi la fabbrica di laterizi della famiglia e incontra Italo proprio mentre sta meditando attorno a questo sogno. «Quindi sono sogni, non privatissimi, che mettono insieme il dato psichico privato con la storia di un paese».
La voce narrante è quella di Piera che non ha ancora fatto pace con il dolore di aver perso un fratello nel crollo della palestra e cerca disperatamente di trovare le colpe, le responsabilità, per questa catastrofe. Ormai donna, nella sua sete di verità si attacca sia ai ricordi personali che al racconto degli altri, scoprendosi dentro una voglia di denuncia che la devasta.
«Un bisogno di verità che la porta a una grande violenza anche contro se stessa. Sente urgente la necessità di costringere gli altri a farsi carico di questa colpa, mentre lei ha la sensazione che tutte le persone che la circondano, la sua famiglia ma anche gli amici, che a loro volta hanno perso dei bambini in questa tragedia, cerchino di fare finta di niente e superare. Ecco, lei non vuole superare, si radica nel lutto di suo fratello».
Una sete anche di vendetta che si placa quando avviene qualcosa che lei percepisce come un atto di giustizia finale per cui chi doveva pagare paga. E quindi dopo il racconto drammatico di una storia molto difficile, c’è quello che possiamo definire un finale lieto? «Non sono sicura che sia un finale lieto, anche perché può essere letto a più livelli. Sicuramente indica la concreta possibilità che abbiamo di trovare finalmente la pace».
Una storia molto particolare, raccontata con un linguaggio ancora più originale per riuscire a cogliere la devastazione interiore di Piera. «Nel romanzo c’è più di un registro in realtà, perché si parte con un tono elevato in cui però ci sono continui inserti di sguardo infantile, per cui Piera racconta contemporaneamente da giovane donna prendendo anche l’impronta della bambina.
C’è poi un altro registro ancora, quello che racconta il piano del tempo presente, di quello che avviene mentre si legge, che poi è l’anno 2015. Ed è un registro che via via finisce per essere sempre più semplice, sempre più aperto. Altro elemento che forse va raccontato è che siccome Piera porta ricordi di altri c’è un continuo andirivieni di voci tra la voce propriamente sua e quella di chi racconta, mediata da lei».
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