05 Marzo 2025 - 11:32
MONTODINE - La chiesa del paese è lì a pochi passi. Dai tavolini del bar Pineta in via Fadini si vede anche il campanile che svetta in tutto il suo slancio. All’interno, dietro il banco, ogni giorno e per dodici ore al giorno c’è sempre lei, Luisa Traspedini, 51 anni, la titolare, con la sua chioma biondissima. Vicino alla macchina del caffè, qualche foto e qualche ritaglio di giornale di suo marito, che la osserva da fuori: lui è Marco Villa, neo commissario tecnico della nazionale di ciclismo su strada dopo una vita dedicata alla pista con medaglie vinte in tutto il mondo e in tutte le Olimpiadi. Lei è la moglie, dal 2001, l’anno in cui si sono sposati, dopo dieci anni di fidanzamento e tre figli, Davide, Riccardo e Gianluca. E Luisa racconta per la prima volta del marito, del suo campione, del suo ct. «Sì, ne parlo tutti i giorni a dire il vero, ma con i miei clienti. È la prima volta che qualcuno mi fa un’intervista, ecco».
Come ha preso la nuova avventura di suo marito?
«Io benissimo, rispetto a lui senz’altro molto meglio».
Cioè?
«Lui era più sereno prima quando era ct della pista, io invece penso che sia un traguardo molto prestigioso».
La pista per Villa è stata come una seconda casa.
«Lo so, per 12 anni ha guidato una squadra, un gruppo, ha conquistato medaglie. Ma gli sta accadendo quel che era già successo anni fa».
Che cosa?
«Quando gli hanno proposto di diventare ct della pista, lui si chiedeva: sarò in grado? Oggi, a distanza di anni, si fa la stessa domanda, come se temesse di non fare bella figura».
Su di lui peraltro ci sono molte aspettative.
«Certo, lo sappiamo bene. Lui è abituato a vincere, non vuol fare le cose così, tanto per fare. E io gli dico sempre questo: ciò che hai fatto in pista, adesso lo rifarai su strada. È la stessa cosa».
Gli fa un po’ da mental coach?
«Ma no, io penso al bar. Dico solo che nell’immediato sarà dura, ci vorrà un po’ di tempo. Basta vedere che gente e che avversari si troverà di fronte: è un momento di campionissimi assoluti, straordinari. Però da moglie sono convinta che ce la farà anche qui. E mi fermo».
Lo pensa davvero?
«Sì, sì. Lui è sempre stato bravo nel suo lavoro, io percepisco questa cosa. Sa trasmettere quel che ha dentro ai ragazzi e non è una cosa poco. Certo, devo anche dire che la sera che la Federciclismo gli ha comunicato ufficialmente che non sarebbe più stato il ct della pista, una lacrima gli è anche scesa».
Era sorpreso?
«Beh, dopo tanti anni, lo posso anche capire. Ma io gli ho detto subito che era ed è come un premio alla carriera».
E lei come l’ha presa?
«Io felicissima, anzi, ne sono onorata, lo dico sinceramente. E anche i miei figli lo sono, tutti in famiglia, sua mamma, sua sorella. È una traguardo stupendo e in fondo lo sa bene anche lui».
Non teme i nuovi sacrifici che arriveranno?
«Sacrifici? Ne abbiamo sempre fatti, lui è spesso via. Prima da corridore, poi da ct, le gare, la preparazione. Dunque, non so se cambierà poi molto. Lui avrebbe voluto fare il supervisore, gli hanno proposto questo, benissimo. Si apre una nuova pagina e via».
Com’è suo marito a casa?
«Così come lo conoscete. Uno di Montodine».
Ovvero?
«Semplice. Segue i figli, va a vederli quando giocano a calcio, due nella Montodenese in Seconda categoria, il terzo, Gianluca, negli Juniores del Castelleone. Poi, in casa fa di tutto. Cucina - specie il risotto - fa anche la lavatrice quando serve. Non si fa alcun problema, è sempre stato così del resto».
E al bar?
«Pure. Sta dietro il banco, fa i caffè, lava le tazzine. I clienti che entrano spesso scherzano e gli dicono: oh, che bella carriera che hai fatto. La gente gli vuole bene. La cosa bella è che poi quando è nel suo ruolo, diventa un perfezionista assoluto».
Qual è la sua qualità più bella?
«I sentimenti, il cuore, il modo di rapportarsi con i ragazzi, di fare squadra».
E il suo difetto?
«Non è mai completamente soddisfatto, vuole sempre vincere, se arriva secondo dice che sì, è bello, ma forse si poteva fare di più. E poi...».
Poi cosa?
«Lo dico da moglie: è troppo modesto, schiva i complimenti, dà sempre merito agli altri».
Beh, questa è una qualità.
«Ma sì, lo so. Però a volte mi piacerebbe dirgli di prendersi qualche merito per tutto quello che fa».
Alla fine questo suo modo di essere ha dato grandi frutti.
«È vero, lui ha la fiducia dei suoi atleti, dei suoi ragazzi ed è una cosa bellissima. Quando Ganna, ad esempio, lo ha voluto vicino per il suo record, è stato bello, è vero».
Avrebbe mai immaginato di vivere una vita così?
«Allora: io sono qui al bar 12 ore al giorno, da sette anni questo posto è mio, dunque, sono e siamo quelli di prima. Nel 2000, lui ha vinto la medaglia Sydney ed è stata un’emozione fortissima. L’anno dopo ci siamo sposati e lui era ancora atleta. Quando l’hanno fermato per via del cuore mi ero preoccupata. Poi è arrivata la chiamata da ct in pista e lì si è aperta una nuova avventura. Che ora riparte. No, in poche parole, non me l’aspettavo e ne sono felicissima».
Cosa gli dice ogni volta che parte?
«Di stare tranquillo, vedrai che ce la faremo, sì, uso sempre il plurale, mi viene così. Vorrei anche seguirlo di più, mi piacerebbe. Qui c’è tanto fare e adesso ho anche i giornali. Quando metto fuori la locandina e c’è il suo nome, lascio immaginare il via vai e i commenti».
Nessuna paura di questa nuova sfida?
«No anzi, è bello: per lui, per tutti quelli che gli vogliono bene e anche per chi pensa che non ce la farà. Ne sono innamorata? Sì, è così».
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