PENSIERI LIBERI
Matteo Aschedamini
Luglio 2025
La nostra visione del futuro è cambiata. Il futuro non è più quello di una volta, come diceva Valery. Perché il futuro e l’idea che di esso ci facciamo dipendono in gran parte dal passato. Ci guardiamo indietro e vediamo ben poco. Gli Stati Uniti forse sono rimasti ancora al crollo, al momento dello sfascio, quando le Twin Towers, le torri gemelle, cedono all’incursione della jihad e annunciano al mondo che Achille è mortale.
L’America si può ancora violare. Secondo David Foster Wallace, la linea di confine tra il prima e il dopo la fine della storia è proprio l’undici settembre. Dal punto di vista occidentale, dell’Occidente che conosciamo dalla seconda metà del novecento in poi, quello dipendente dalle stelle e dalle strisce, questo è certamente vero. La storia è finita nel 2001 ma noi siamo rimasti qui, anzi, molti di noi sono arrivati dopo, nell’epoca post-moderna, l’epoca del dopo-ora.
Ma il futuro non lo possiamo più calcolare con i paradigmi di stampo retorico e biblico. L’Occidente in quanto tale da tempo non è più il faro che illumina l’umanità. Le forze asiatiche e la radicalizzazione delle tecnologie di controllo, tra cui i vari social e simili, certificano come il declino intellettuale e essenzialmente anche economico dell’Occidente sia rallentabile ma non reversibile, non usando come catalizzatori le stesse tecnologie che in primis ci hanno spinto verso il crinale della cima. L’atteggiamento della politica al progresso è ambiguo, se non, per usare un termine di Badiou, autorevolmente liberale: cioè, concentrato nel difendere gli interessi delle grandi multinazionali e a inguaiare i singoli nella terribile e mortale macchina burocratica.
Se da una parte riceviamo su scala giornaliera novità per quanto riguardo l’avanzamento dei sistemi di Intelligenza Artificiale, non sembrano esserci grandi movimenti sul fronte della legislazione. Già negli anni passati l’Unione Europea ha dimostrato di avere idee confuse per quanto concerne i nuovi media e le forme creative che su questi troviamo espresse.
Sia da esempio — ma non esemplare — la legge sul copyright. Le forme di AI che si stanno sviluppando sono divisibili in due grandi gruppi: assistiva e generativa. Se la prima avrebbe la funzione di supportare e semplificare il lavoro umano, ad esempio nella correzione delle bozze e dei refusi, nel secondo caso la creazione di un’immagine del tutto nuova tramite IA necessità di essere quantomeno segnalata.
Non sono rare le truffe grazie ai sintetizzatori di voce: qualche tempo addietro, in onda sul programma ‘Gli affari vostri’, una signora sulla cinquantina raccontava della sua esperienza. Tratta in inganno dalla voce di Mara Venier, riprodotta grazie all’IA, aveva affidato i suoi risparmi ad un farlocco sito di brokeraggio online, venendo ovviamente ripulita dagli abili truffatori.
Limitare l’IA non è possibile, ma regolare il suo utilizzo è sacrosanto. Qualcuno lo spieghi ai nostri parlamentari. La retorica del futuro migliore rimane al momento sotterrata da un cumulo di paure e da altrettante insicurezze. E non è un caso che nei momenti di crisi o stasi subentrino governi tendenzialmente conservatori. Il popolo con potere elettorale si affida a chi promette certezze. La fantascienza distopica degli anni sessanta — Philip Dick docet — si è avvicinata in maniera spaventosa a certe realtà di oggi.
Un altro elemento da non sottovalutare è la sfiducia nella democrazia. A proposito dello stato di salute del nostro sistema politico si sono interrogati molti filosofi, a partire dal nostro Agamben. Ciò che limita il potere democratico di un paese non è più la forza bruta esercitata da un sistema totalitario, anzi: si tratta dell’esatto contrario.
Nel saggio ‘Infocrazia’, Byung-Chul Han punta il dito sulle forme del controllo moderno: il subbuglio generato dall’informazione, che con la sua temporaneità e inarrestabile ripetizione satura il discorso politico. D’altra parte c’è il terribile spettro del confort: nessuna dittatura totalitaria, ma un sistema che accomoda l’individuo, come dice Han, riducendolo a un elemento dello Sciame. Il ronzio causato dall’Altro rende impossibile la pulizia del pensiero, e nello stesso modo premia i politici più adattivi, rendendo la politica, come dice Trump a Zelensky nell’ultimo celeberrimo confronto, Great television: uno show.
Il futuro non è quindi più quello di una volta, e passo dopo passo, abituiamo la nostra fede nel progresso a guardare con nostalgia ai tempi andati. A vertere sulle generazioni future poi, come una spada di Damocle, c’è la questione del Riscaldamento Globale. In un saggio sulla fine del mondo, De Castro definisce l’Antropocene come l’ultima era geologica: non solo come ultima temporalmente ma come ultima in assoluto. E come la venuta dell’uomo nell’Eden rappresenta la fine della Creazione, così l’Antropocene, l’epoca dell’uomo, segna l’Apocalisse.
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