PENSIERI LIBERI
Beppe Severgnini (Giornalista e scrittore)
Maggio 2025
Aeroporto di Olbia, Costa Smeralda, metà settembre. Lui indossa una tuta verde, pantofole di velluto nero, occhiali azzurrati. I capelli brillano di un castano innaturale. Trascina due borse di gran marca e parla ad alta voce: in attesa dell’imbarco, durante l’imbarco, sull’aereo. Parla con un amico dall’aria rassegnata, parla al telefono, parla con il personale di terra e le assistenti di volo. Parla. Impossibile non ascoltarlo e non sorridere.
Lui è consapevole di una cosa e non dell’altra. Età indefinita: più di sessanta, meno di settanta. Sa che tutti l’hanno notato; ma non è a disagio, sembra invece lusingato dall’attenzione. Occupa lo spazio con voluttà; rivela gli affari suoi senza imbarazzo. Agata, la mia nipotina, si spaventerebbe, se fosse qui: a due anni i bambini dispongono di notevole senso critico. Oppure, chissà, verrebbe presa dall’entusiasmo. Quegli abiti, quei capelli, quel tono di voce si trovano solo nei cartoni animati, e su alcuni voli dalla Costa Smeralda.
Giuseppe Severgnini, mio nonno e mio omonimo, diceva, con la capacità di sintesi dei contadini: «Èign vèch l’è l’ültima vacàda», diventare vecchi è l’ultima vaccata. Mio padre, notaio filosofico, specializzato in testamenti e successioni, ci faceva notare: l’alternativa è peggiore. Della questione, insomma, si parlava. In casa nostra come in quasi tutte le case del mondo. La ruota della vita si può ignorare, basta limitarsi a correre: ma è una scelta da criceti.
Meglio ragionare sui cambiamenti, prendere il buono, respingere il cattivo, accettare l’inevitabile. Qualcuno rifiuta tutto ciò, è suo diritto. È nostra facoltà, tuttavia, sorridere; o ridere di gusto, se quel qualcuno esagera. Il cattivo invecchiamento è, prima di tutto, un cattivo spettacolo. Assistere può essere divertente. Ma offrirlo? Non sono sicuro. Bisogna indossare con eleganza la propria età. Qualunque età. Ma, nella terza parte della vita, occorre massima attenzione.
Cosa vediamo, invece, intorno a noi? Parecchia sciatteria, tanto sforzo, molte parodie. La parodia di un’età che non esiste più, la fatica di conquistare ciò che non è importante, la colpevole rimozione della realtà. Se incontro un settantenne con una cabrio color pastello – ciao Alberto! – sorrido: è un vezzo. Mi irrito, invece, se vedo il desiderio spasmodico di restare sempre uguali: perché immagino le delusioni in arrivo. Giorgio Gaber, quarant’anni fa, cantava: «Fa un po’ male quella mia caricatura / che il tempo mi prepara».
Eppure, la tendenza ad allungare all’inverosimile le fasi della vita è evidente. Non si inizia da anziani: si parte molto prima. Pensate agli studenti che si presentano all’esame di maturità col papà o la mamma, talvolta con tutt’e due. Pensate ai trentenni che chiedono aiuto in famiglia per difficoltà sul posto di lavoro (e ai famigliari che, sventurati, rispondono). Pensate ai quarantenni che escono ogni venerdì sera, lasciando a casa compagne e figli. Pensate ai cinquantenni che, fuori dalla palestra, gridano agli amici: «Ehi, raga, ci vediamo più tardi per l’ape!».
Sono sinceri, in fondo: si sentono dei ragazzi, per loro nulla è cambiato. Il fenomeno è soprattutto maschile; le donne possono cadere nella trappola, ma poi ne escono. La gioventù che sbiadisce davanti a uno specchio, giorno per giorno, è crudele. La chirurgia estetica è una tentazione, ma le persone sagge sanno resistere. Marilyn Monroe aveva pochi dubbi in proposito. Era capace di dire: «Non piangere mai per un uomo, ti si sbava il trucco... E il tuo mascara vale più di uno stupido maschio». Ma anche: «Voglio invecchiare senza lifting. Voglio avere il coraggio di essere leale alla faccia che mi sono creata». Non ha potuto dimostrare la sua coerenza, purtroppo.
«C’è qualcosa di più assurdo che caricarsi di provviste quando resta meno strada da fare?» si chiedeva Cicerone nel De senectute, scritto a sessantadue anni. L’impressione è che oggi, alla stessa età, pochi abbiano le idee altrettanto chiare. Molti, per esorcizzare il futuro, accumulano (titoli, cariche, impegni, denaro).
Alcuni cercano notti troppo lunghe, compagne troppo giovani, motori troppo potenti, sostanze rischiose. Altri si buttano nello sport con entusiasmo parossistico. Niente riesce a fermarli: non le mogli, non gli infortuni, non il ridicolo. Altri ancora si gettano furiosamente sul lavoro, non lasciano strada, si battono per oneri e onori che spetterebbero a una nuova generazione. La reputazione? Non se ne curano. Cosa diranno di loro? Non gli interessa. Il mondo delle professioni, delle arti, degli affari, della politica e dei media è pieno di casi simili: gomitoli di ambizione furiosa, pronti a tutto pur di continuare a rotolare.
Un amico medico, di buon carattere e notevole successo, mi ha raccontato le imprese del primario che lo ha preceduto, per poi andarsene in pensione: si informa quando lui è di riposo e si ripresenta in reparto, indossando il camice. Infermieri e colleghi fanno finta di niente e lo salutano: «Professore...». Ne provano pena, certo; ma così non lo aiutano. Aver successo da anziani è possibile. Ma occorrono doti nuove. L’onnipresenza, a una certa età, è un segno di disperazione.
Bisogna capire che arretrare può rivelarsi saggio. Che restituire è un verbo gratificante. Che incoraggiare e suggerire sono attività nobili. Che esistono domande terapeutiche, a cominciare da questa: quanti colleghi frequenteremo, quando smetteremo di essere reciprocamente utili? E soprattutto: quali? Tutto, intorno a noi, scoraggia questi pensieri. La bellezza, l’energia e il successo sono idolatrati; l’età e l’esperienza, sopportate. I modelli di consumo esaltano la gioventù, e la trasformano in qualcosa di irraggiungibile.
È un errore civile, sociale e – perché no – commerciale. La generazione dei sessantenni e settantenni – la mia, quella che sta andando o è andata in pensione – è numerosa e vitale. Se venisse coinvolta con intelligenza, eviteremmo lo spettacolo malinconico di molti nuovi anziani che negano di esserlo, pur di esserci. Le cose buone sono poche, semplici, possibili. Ho ascoltato queste parole durante la cerimonia funebre per un’amica che se n’era andata – la seconda, tra i compagni di classe del liceo – e ho pensato: è così, Alessandra. Accade però che molti coetanei non lo capiscano, e lottino per tante cose complicate e impossibili.
Alla nostra età serve comprendere il potere della gentilezza, imparare dagli insuccessi, allenare la pazienza. Serve frequentare persone intelligenti e luoghi belli, che porteranno idee fresche. Serve accettare che c’è un tempo per ogni cosa, e la generazione dei figli e dei nipoti ha bisogno di spazio e incoraggiamento. Serve capire che il fascino è inversamente proporzionale allo sforzo per conquistarlo. Serve allenare l’ironia, antiruggine dell’anima; e giocare con una nipotina, se è possibile. Ci penserà lei a portare nella nostra vita gioia, disordine e lungimiranza. Perciò grazie, Agata. Possiamo cominciare.
S.E.C. Spa – Divisione Commerciale Publia : P.IVA 00111740197
Via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona : Via Cavour, 53 - 26013 Crema : Via Pozzi, 13 - 26041 Casalmaggiore