PENSIERI LIBERI
Gennaio 2025
Viviamo tempi turbolenti, che influenzano profondamente la vita delle persone e delle aziende. E come se non bastasse, ci troviamo in un’era di fortissima accelerazione nello sviluppo delle tecnologie abilitanti, in particolare quelle digitali. Il risultato di tutto questo è uno spostamento significativo degli equilibri economici e politici nel mondo.
Un esempio emblematico è quello del settore automotive: per lungo tempo la leadership è rimasta nelle mani dell’Occidente, grazie alla complessità tecnologica dei motori endotermici, alla solidità dei mercati e alla capacità di adattarsi gradualmente ai limiti di emissioni imposti dalle normative. Poi, all’improvviso, le cose sono cambiate. La scelta di puntare sull’elettrico per raggiungere le emissioni zero ha spalancato le porte a una concorrenza di mercato molto più ampia. Un motore elettrico, per quanto complesso, è decisamente meno sofisticato di uno endotermico.
Questo ha creato opportunità per un numero maggiore di aziende. Se sommiamo a ciò la disponibilità di materie prime e competenze, è evidente come la leadership si sia rapidamente spostata dall’Occidente all’Oriente. Non si tratta di un fenomeno nuovo: nel corso della storia, il pendolo della leadership è sempre oscillato.
Tuttavia, oggi questo processo avviene a una velocità molto maggiore, poiché le tecnologie accelerano ogni tipo di cambiamento. La questione fondamentale è: come reagire a tutto questo? L’Italia del dopoguerra seppe distinguersi a livello mondiale grazie alla sua straordinaria capacità di ‘fare’. Moltissime aziende nacquero dalla necessità di soddisfare i bisogni primari generati dalla sciagurata guerra. Bisognava produrre ciò che serviva, e noi italiani sapevamo farlo.
Molti artigiani si trasformarono in imprenditori di successo. Oggi, però, ‘saper fare’ non basta più. La produzione di qualità è ormai diffusa a tutte le latitudini e, spesso, avviene a costi inferiori ai nostri. Inoltre, con una popolazione di circa 60 milioni, rispetto agli 1,4 miliardi di India e Cina, non possiamo competere con un approccio ‘muscolare’. Siamo surclassati in termini di risorse economiche, disponibilità di conoscenze e tecnologie.
E allora, dobbiamo puntare sulla nostra unicità. Perché noi italiani sappiamo creare e innovare. Questo ‘saper fare’ deve arricchirsi di ‘saper inventare’: dobbiamo passare dal ‘Made in Italy’ all’’Invented and Made in Italy’, generando prodotti e processi di alto valore per i mercati internazionali. La nostra forza risiede anche nella collaborazione: aziende, università e centri di ricerca devono lavorare insieme per sviluppare tecnologie e competenze.
I distretti industriali italiani, da sempre esempi di successo, devono evolvere in reti collaborative capaci di moltiplicare le energie. Inoltre, in un mondo sempre più attento alla sostenibilità, possiamo fare della nostra tradizione manifatturiera un modello per il futuro: puntare su prodotti innovativi, sostenibili e a basso impatto ambientale può diventare un vantaggio competitivo decisivo.
Infine, non possiamo dimenticare il valore delle persone. La formazione continua è essenziale per aggiornare le competenze e rendere il nostro capitale umano pronto ad affrontare i cambiamenti. Solo così potremo salvaguardare e valorizzare la nostra manodopera. Se vogliamo mantenere e sviluppare livelli adeguati di occupazione, dobbiamo investire nella Testadopera. È la via più intelligente ed efficace per affrontare le sfide del mondo contemporaneo.
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