PENSIERI LIBERI
Novembre 2024
Dopo una campagna elettorale costellata da disinformazione e da toni incendiari, gli americani hanno votato. Sembrava una equazione relativamente semplice: da un lato Kamala Harris, una donna di colore preparata e competente; dall’altro Donald Trump, un uomo farneticante e sconclusionato senza un programma politico. Sembrava un voto quasi scontato e invece Trump ha vinto le elezioni, anzi ha stravinto.
Si è preso tutti gli Stati in bilico e anche il voto popolare, ovvero la somma di tutti i voti, che non conta ai fini elettorali ma rappresenta un indicatore del clima nel paese. Tanto per intenderci, Trump aveva perso il voto popolare sia nel 2020, quando fu eletto Joe Biden, che nel 2016, quando era diventato presidente ma il voto popolare era stato vinto da Hillary Clinton.
Negli Stati Uniti, il presidente viene eletto attraverso il sistema dei collegi elettorali. Ad ognuno dei 50 Stati della federazione viene assegnato un numero di collegi elettorali proporzionale alla popolazione; così la California, lo stato più popolato, ha 54 collegi elettorali, mentre il Wyoming, lo stato meno popolato, ha tre collegi elettorali. Il candidato con il maggior numero di voti nello Stato vince tutti i collegi elettorali di quello stato (ad eccezione di Nebraska e Maine in cui il voto viene ripartito per distretti congressuali).
Stati come California e New York sono considerati roccaforti democratiche mentre Stati come Texas e Florida sono fortezze repubblicane, quantomeno nella storia recente. Da settimane era ormai chiaro che queste elezioni si sarebbero giocate in sette Stati chiave: Nevada, Arizona, Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, North Carolina e Georgia, per un totale di 93 collegi elettorali. La sensazione era che Harris avrebbe dovuto vincere nei cosiddetti ‘Stati del muro blu’, ovvero Wisconsin, Michigan e Pennsylvania per arrivare alla presidenza.
Durante la giornata elettorale, il primo scricchiolio al piano elettorale di Harris si era manifestato in Virginia, dove il vantaggio di Harris era solo di pochi punti percentuali in uno Stato che Biden aveva vinto nettamente nelle elezioni precedenti. La preoccupazione era poi aumentata quando i primi dati dal ‘muro blu’ davano Harris avanti nei grandi centri urbani, quali Philadelphia, Detroit e Milwaukee, ma nettamente indietro nelle aree rurali. Quando poi, ormai a tarda notte, le proiezioni mostravano che Trump avrebbe certamente vinto i 19 collegi elettorali in Pennsylvania, è diventato chiaro che non c’erano più speranze per Harris. Con la vittoria in Pennsylvania, Trump aveva ormai vinto la presidenza.
Per capire meglio il ‘fenomeno Trump’ è utile guardare alla mappa elettorale per contee. Harris ha vinto tutti gli Stati sulla costa Ovest e sulla costa Nord-Est, per capirci gli Stati con centri urbani quali Los Angeles, San Francisco, Seattle, Boston, New York e Washington, mentre Trump ha vinto quasi tutti gli Stati centrali con prevalenza di aree rurali. Ma non è tanto la spartizione geografica a stupire, quanto la distribuzione del voto nelle contee statali.
Prendiamo ad esempio uno degli Stati chiave, la Pennsylvania. In questo Stato, partizionato in 67 contee, ci sono due aree urbane principali: Philadelphia e Pittsburgh. In queste città, Harris ha stravinto con il 78% dei voti a Philadelphia e il 59% a Pittsburgh. Tuttavia, in 59 delle 67 contee, per lo più aree rurali dello Stato, Trump ha ottenuto percentuali tra il 70% e l’80%. La stessa tendenza è osservabile in tutti gli Stati chiave: Harris vince nelle aree urbane densamente popolate, Trump domina nelle contee rurali poco popolate. E la somma dei voti repubblicani nelle contee rurali è maggiore rispetto ai voti democratici nei centri urbani.
Le contee rurali degli Stati centrali sono storicamente tra le più povere. Pertanto, risulta difficile capire come Trump possa essere così popolare tra questo gruppo di elettori. Quale proposta tra le politiche di Trump può migliorare la qualità della vita in queste contee? La risposta è evidentemente nessuna. Trump non ha un programma elettorale vero e proprio. Molte delle idee di Trump sono confuse ed inattuabili. I tagli alle tasse sembrano riguardare solo la classe più benestante della società e non certo le fasce più povere.
Durante il dibattito con Harris, Trump ha anche ammesso di non avere un piano per la sanità. Eppure, le contee rurali hanno votato in massa per Trump. Ci si deve dunque chiedere cosa non abbia funzionato per Harris e cosa invece ha funzionato per Trump. Harris ha certamente dimostrato interesse per i diritti delle minoranze, ma non ha saputo ascoltare una larga fetta della popolazione che dal 2016 urla la propria rabbia per i costi in continuo aumento e la precarietà salariale. Trump, invece, pur non avendo alcuna idea costruttiva per migliorare la situazione di queste aree, ha usato la sua retorica aggressiva per fomentare questo discontento. Ha fatto leva su valori tradizionali quali il patriottismo, la famiglia, il diritto a possedere armi e la dottrina cristiana.
Per quanto parte della popolazione possa condividere questi ideali, quello che ha contribuito ad attirare le masse verso Trump è stato il tono violento della sua narrativa, che rispecchia la rabbia di quella parte della popolazione che si sente abbandonata. Additare coloro che sono diversi, quali ad esempio gli immigrati, come le cause delle difficoltà economiche, o opportunisticamente abbracciare valori religiosi per attaccare le minoranze, ha reso Trump il rappresentante ideale del malcontento popolare. Alla retorica infuocata si è poi aggiunta una massiccia campagna di disinformazione.
Così, a Trump è bastato organizzare comizi nelle aree rurali degli Stati chiave, urlando imprecazioni contro avversari politici, mezzi di informazione, immigrati, o chiunque gli passasse per la testa, e spargendo disinformazione con il solo scopo di allargare la propria base elettorale. Fornendo informazioni distorte, Kamala Harris è stata presentata come la candidata che vuole consentire l’aborto al nono mese di gravidanza, gli immigrati illegali di Haiti come delinquenti che mangiano cani e gatti, i giornalisti dei principali media americani come i nemici del popolo che mentono al pubblico.
I comizi di Trump non contenevano uno straccio di programma elettorale, nessuna idea su come ridurre i costi di vita, nessun piano per sanità ed istruzione, nessun progetto per l’economia. Fomentando rabbia e odio, Trump è riuscito a diventare il paladino di quella fetta della popolazione che da anni si ritiene inascoltata, e che lo ha scelto come loro rappresentante al costo di mettere a rischio la democrazia del paese.
Questa strategia aveva funzionato, a sorpresa, nel 2016, quando Trump vinse contro Hillary Clinton, presentandola come il simbolo di istituzioni che non si occupavano dei veri problemi della gente e conducendo una campagna elettorale focalizzata sull’idea di realizzare un muro di confine tra Messico e Stati Uniti (muro mai costruito). Ha funzionato ancora a distanza di otto anni, con una retorica ancora più incoerente e violenta.
Kamala ha fallito, non perché sia «incapace e stupida» come sostenuto da Trump, ma perché non ha saputo comunicare con la parte della popolazione che non riesce ad arrivare a fine mese, ovvero quelle classi che hanno creato il ‘fenomeno Trump’. Così Trump, che quattro anni fa aveva messo in pericolo i principi stessi della democrazia americana non accettando l’esito delle elezioni, è diventato il nuovo presidente della più potente democrazia mondiale.
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