PENSIERI LIBERI
Alberto Ferrari Dirigente scolastico liceo scientifico Aselli e ispettore Esami di Stato 2024
Luglio 2024
Vedo gli studenti stappare bottiglie di spumante o ricevere fiori quando, fatto l’orale dell’Esame di Stato e festeggiati da amici e genitori, sentono cuore e mente liberi; salutano la scuola dove hanno vissuto, sofferto, gioito, tremato. E si incamminano verso un futuro che hanno cominciato a costruire proprio lì, in quelle ore di lezione, di verifica, di sogni, qualche volta di noia, ma sempre di relazioni con i compagni e con gli insegnanti. Per un anno c’è stato, tra la scuola e il futuro, questo Esame, dal quale usciranno con un voto, meglio, un numero, distribuito su una scala lunghissima (da 60 a 100 e lode) che poco racconta di questi ragazzi: la storia, il vissuto, gli interessi e le passioni, l’amore per il sapere, la capacità di collaborare, di prendersi cura della vita propria e di quella altrui. Riparte ogni anno il dibattito se abbia ancora senso l’Esame di Stato e se quella attuale sia la forma più corretta ed equilibrata per valutare in modo conclusivo il percorso scolastico degli studenti. Un Esame che, complice anche, ma non solo, la pandemia, è spesso cambiato in questi anni e si sta cristallizzando (fino alla prossima modifica) in due prove scritte e un orale, anzi un colloquio, nel quale lo studente deve dimostrare di saper analizzare criticamente il materiale (un’immagine, un documento, un problema…) consegnato sul momento dalla Commissione, costituita da tre docenti della classe, tre membri esterni e un presidente, sempre esterno.
Tanti lo chiamano ancora Esame di Maturità, ma siamo tutti consapevoli che un processo di maturazione oggi più che mai è lungo e graduale, non termina con i 19 anni e neppure con la fine di un ciclo scolastico, specie per i ragazzi liceali che, complice una formazione che sembra non finire mai e di una cultura che li vuole (e ci vuole) eterni adolescenti, tendono a compiere sempre più tardi le scelte tipiche dell’età adulta. In questo contesto l’Esame di Stato è uno dei pochi riti rimasti, forse l’unico che viene vissuto non solo individualmente, ma collettivamente. Sono i giorni in cui i ragazzi, le loro famiglie, i docenti interni condividono stress e aspettative; sono i giorni in cui ciascuno di noi è naturalmente portato a rivivere il proprio Esame e a rivedere nello sguardo dei ragazzi il proprio volto e le proprie paure di qualche anno (decennio?) fa.
L’Esame segna una cesura, genera un prima e un dopo che popolerà i sogni di questi ragazzi ancora per diversi anni, magari con l’incubo di doverla ancora fare, la Maturità. Perché qualche timore da parte dei ragazzi (e, spesso, anche dei loro docenti) c’è: per le prove preparate in qualche oscura e misteriosa stanza ministeriale, per i docenti esterni che non conoscono e non li conoscono e della cui severità i ragazzi hanno cercato informazioni sin da subito su qualche sito di studenti (imitati, ma di nascosto, dai loro insegnanti). Purtroppo assistiamo ogni anno a situazioni di palese ingiustizia quando qualche docente esterno vive la propria condizione come uno strumento di potere e si dimentica che gli studenti che ha di fronte hanno gli stessi limiti e la stessa fragilità dei ‘suoi’ studenti, non capendo che l’Esame dovrebbe essere un momento in cui valorizzare tutte le competenze degli studenti senza ritenere che debbano essere geni per ottenere delle buone valutazioni. Queste situazioni, fortunatamente, sono rare e rappresentano la patologia di un sistema che richiede necessariamente uno sguardo valutativo esterno. Anche per questi aspetti ha ancora senso l’Esame di Stato: la scuola superiore è talvolta la prosecuzione del mondo familiare con le sue coccole e le sue indulgenze e spesso si adegua alla cadenza di passo dei ragazzi, ma la vita lavorativa e quella universitaria hanno ritmi e richieste differenti.
L’Esame di Stato non è un’interrogazione come le altre che si può rimandare, non prevede recuperi: è lì che aspetta con un countdown iniziato da settembre e pone agli studenti un limite chiaro ed invalicabile. Un limite, un paletto di quelli che noi adulti facciamo sempre più fatica a porre ai ragazzi che, invece, ne hanno profondamente bisogno.
L’Esame di Stato nasce anche con la speranza di avere un elemento di standardizzazione della valutazione con prove e griglie comuni a tutto il territorio nazionale. Il Ministero infatti è consapevole che sono ancora tante le difformità valutative fra le regioni e forti le disparità sul territorio nazionale. Lo sforzo è encomiabile, pur con frutti parziali, dato che nel 2023 Calabria e Puglia hanno avuto percentuali di valutazioni massime (100 e lode) otto volte superiori rispetto alla Lombardia, nonostante i risultati delle prove standardizzate Invalsi forniscano esiti al Nord significativamente migliori rispetto al Sud. La componente esterna dei docenti dovrebbe anche avere una funzione di controllo delle frequenti situazioni di illegalità di scuole ‘diplomifici’ con studenti iscritti esclusivamente in funzione dell’Esame senza alcuna preparazione; ma questo continuerà ad accadere finché le famiglie saranno più interessate a far ottenere ai propri figli un diploma piuttosto che le competenze utili per l’accesso al lavoro o all’Università.
Allora, serve o no questo Esame? Anche chi vive nella scuola fornisce risposte non univoche. Quel che è chiaro è che deve essere detto e fatto sperimentare ai ragazzi che crescere non significa aggirare le difficoltà, ma che, con l’aiuto della scuola, le prove della vita (e quella dell’Esame non è certo quella più impegnativa) possono essere superate con impegno e dedizione. Perché è così che cresce l’autostima: accettando e facendo accettare alle famiglie i risultati anche quando non sono quelli attesi. Di certo dirò ai miei studenti che non sono definiti dal voto che hanno preso, ma per quanto sono stati in grado durante cinque anni di studi e 15 giorni di Esame di crescere insieme come persone e cittadini. A loro un enorme in bocca al lupo per il futuro. Aspettando sin da ora i maturandi 2025!
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