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13 febbraio 1979

Rivoluzione iraniana: l'Ayatollah Khomeini torna a Teheran

Febbraio 2021

Rivoluzione iraniana: l'Ayatollah Khomeini torna a Teheran

TEHERAN, 12. - Dopo i sanguinosi avvenimenti di ieri che avevano ridotto Teheran ad un campo di battaglia e l'Iran sull'orlo della guerra civile, le forze rivoluzionarie dell'Ayatollah Khomeini hanno completato oggi la loro vittoria impossessandosi del palazzo Imperiale di Niavaran, ex residenza dello Scià situato a nord della capitale ed installandosi a Lavizan una delle basi militari più attrezzate del mondo.

La guardia imperiale, che aveva giurato di combattere fino all'ultimo uomo per difendere la reggia dei Pahlevi, si è infatti arresa a decine di migliaia di giovani guerriglieri di Khomeini a mezzogiorno, dopo scontri durati tutta la mattinata.

Mentre i comandanti della guardia e dei reparti scelti degli «Immortali» concludevano le condizioni di resa con tre mullah, i sacerdoti sciiti, almeno centomila seguaci del leader religioso entravano nella base militare di Lavizan e ne prendevano possesso

Alla stessa ora la radio iraniana diffondeva un comunicato di Khomeini nel quale l'Ayatollah, dopo aver chiesto alla popolazione di «rispettare i luoghi pubblici», affermava  che «alcuni difensori del vecchio regime si nascondono sotto una maschera rivoluzionaria e debbono essere combattuti». Il capo degli sciiti concludeva la sua comunicazione con un appello al popolo iraniano in cui chiedeva di considerare i militari come "fratelli" e con un invito ai suoi seguaci armali a riconsegnare le armi, prima che la situazione «si deteriori troppo».

Per tutta la giornata infatti i sostenitori dell'Ayatollah hanno scorrazzato per le vie della capitale, sparando colpi in aria e celebrando la vittoria.  

Il Primo ministro scelto da Khomeini, Mehdi Bazargan, si è intanto installato nell'ufficio del capo del governo, lasciato vacante da Shahnur Bakhtiar, che, secondo alcune fonti, si è nascosto e cerca di negoziare un'onorevole partenza dall'Iran.

Durante la battaglia per il possesso di Niavaran, il capo della guardia imperiale, generale Bigliari, è rimasto ucciso da un colpo d'arma da fuoco, forse sparato dai suoi stessi soldati.

Non appena la folla è entrata nel palazzo imperiale, i mullah hanno più volte ripetuto di non saccheggiare le stanze, perché l'edificio è ora «proprietà del popolo». Testimoni oculari hanno riferito che i preti sciiti hanno fatto un inventario particolareggiato dei beni che si trovano dentro il palazzo, soprattutto preziosi tappeti persiani, quadri d'autore e collezioni di antichità iraniane che appartenevano soprattutto alla imperatrice Farah Diba.

Nel frattempo numerose adesioni e riconoscimenti sono giunti al nuovo governo di Khomeini dalle ambasciate iraniane sparse per il mondo, mentre in Marocco si apprende da ambienti vicini allo Scià che egli sta seguendo gli avvenimenti nel suo Paese con «tristezza profonda». Non solo il «re dei re» sta osservando il succedersi dei fatti in Iran con tale stato d'animo. È assai difficile infatti credere che con la giornata di oggi la situazione si sia definitivamente stabilizzata. Le prospettive infatti sono incerte: non esiste nonostante tutte le dichiarazioni fatte finora un vero programma di governo e l'opposizione, che ora è allineata con l'Ayatollah, quanto tempo concederà a Khomeini, Bazargan e ai loro seguaci per redigerlo? Fino a quando l'esercito, che oggi si è dello disposto a collaborare manterrà tale disposizione? Queste sono le preoccupazioni che riguardano la situazione iraniana, preoccupazioni tanto più valide se rapportate al fatto che il trionfo di Khomeini non è evidentemente avvenuto nelle condizioni politiche che egli auspicava. L'Ayatollah è riuscito sinora «a domare la tigre» ma riuscirà anche a cavarsela?

Disarmare una popolazione presa dalla febbre della vittoria è un compito infatti così arduo che può riuscire a fare retrocedere anche il più progressista dei governi: sappiamo bene però quanto la repubblica islamica di Khomeini non sia tale.


THERAN: guerriglieri di Khomeini in una postazione davanti al Parlamento per respingere un attacco. La capitale è in mano a bande di civili armati e nel caos più completo.