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7 novembre 1975

Marcia Verde in Marocco

I marocchini a 5 chilometri dai campi minati del Sahara

Novembre 2020

Marcia Verde in Marocco

Solo 40.000 volontari hanno oltrepassato ieri la frontiera - Li guida il primo ministro di Rabat - La risposta di Re Hassan alle Nazioni Unite - Pericolosa partita d'azzardo - Le truppe spagnole sul piede di guerra
RABAT. 6. — La «lunga marcia» marocchina verso il Sahara spagnolo è entrata nella fase più viva e più drammatica. Gli appelli, le pressioni internazionali, perchè questa gigantesca prova di forza fosse bloccata «in extremis» non hanno sortito alcun esito. 40.000 dei 350.000 marciatori, reclutati da re Hassan II, hanno oltrepassato alle 11.30 di stamane la frontiera e sono avanzati per 15-20 chilometri giungendo vicino allo sbarramento minato predisposto dalle truppe spagnole per impedire la avanzata nella colonia.

A questo punto, può accadere di tutto; e basta una scintilla perchè maturi una immane carneficina. Solo Hassan potrebbe impartire l'ordine di «al », dando alla occupazione un carattere simbolico; ma difficilmente, i suoi sudditi — sottoposti negli ultimi giorni ad una martellante campagna nazionalistica — obbedirebbero alle direttive del sovrano. La delusione potrebbe trasformarsi in collera contro il sovrano e il trono vacillerebbe paurosamente. D'altra parte, è poco probabile che Juan Carlos di Borbone, dopo aver solennemente manifestato appoggio alle sue truppe, faccia macchina indietro e dia l'ordine di lasciar passare i «marciatori» marocchini.

Stamane, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha compiuto l'ultimo inutile, tentativo per arrestare l’invasione. Il presidente di turno, il sovietico Malik, ha  inviato un appello urgente a re Hassan, chiedendogli «di revocare immediatamente la marcia». Ma il sovrano è stato irremovibile. «Non possiamo fare altro che comunicare all'eccellenza vostra che la marcia è cominciata. Vi preghiamo di rinnovare al Consiglio l'assicurazione che essa, per quanto riguarda il Marocco, avrà carattere pacifico», è stata la sua risposta.

Quasi contemporaneamente, la massa umana accampata nella colossale tendopoli di Tarfaya (all'estremo sud del Marocco) ha cominciato a muoversi verso la «terra promessa» sahariana. L'atmosfera che domina fra i marciatori è impregnata di fanatismo. I canti di guerra si intrecciano con le danze e con le preghiere ad Allah perchè la «missione» sia coronata da successo. Mantenere una briciola di disciplina e controllare la situazione sotto il profilo sanitario è un'ardua impresa. Mentre affiorano le prime allarmanti notizie di epidemie, si contano i morti per «regolamenti» o per altri incidenti. Alcune donne sarebbero state violentate nelle fredde notti del deserto. La marcia è guidata dal primo ministro Ahmed Osman.

Al fianco dei marciatori è schierato l'esercito marocchino con un terzo dei suoi effettivi (2500 uomini), appoggiati da cinque battaglioni di truppe cammellate e da tre battaglioni di cavalleria leggera equipaggiata con velocissime autoblindo, concepite per la guerra nel deserto. Dall'altra parte della «barricata», lo schieramento spagnolo è sul piede di guerra ed è pronto a respingere i marciatori di Hassan, sono stati messi in stato d'allarme tutti gli effettivi delle tre armi, compresi quelli dislocati nelle Canarie.

Dunque, Hassan gioca una pericolosa partila d'azzardo, il cui esito è tutto da decidere.
La posta in palio è costituita dai ricchissimi giacimenti di fosfati che si trovano nelle viscere del deserto sahariano (260 mila chilometri quadrali con 60 mila abitanti).