30 agosto 1970
Agosto 2020
Bernardino Gatti detto il Soiaro (1495-1575), pittore pavese di nascita ma cremonese d'elezione (a Cremona egli morì, dopo avervi a lungo dimorato ed operato da par suo in Duomo e in San Pietro al Po), ha forse lasciato in Parma la sua più alta manifestazione pittorica con gli affreschi della cupola di S. Maria della Steccata, eseguiti dal 1560 al 1572, con l'aiuto del figlio, del pittore fiammingo Bartolomeo Spranger e con la preziosa collaborazione del bresciano Lattanzio Gambara, ritenuto autore della decorazione del tamburo. (Giusto in quel torno di tempo, a Parma, il Gambara attendeva ad affrescare la navata centrale del Duomo, con dodici grandi quadri ispirati a scene della vita di Gesù, eseguiti fra il 1568 e il 1572).
Chiamato a Parma per completare l’ «Adorazione dei Magi», affresco che Michelangelo Anselmi, morendo, lasciò incompiuto nel catino dell'abside d'ingresso alla Steccata, Bernardino Gatti seppe dare così buona prova di sé che i fabbricieri, oltremodo soddisfatti, convinsero i rettori della congregazione ad affidargli l’impegnativa decorazione della cupola.
Il contratto, stipulato 18 gennaio 1560, fissava un compenso di 1400 scudi d'oro, dettava il tema («Assunzione della Vergine») e stabiliva, con scrupolosa precisione, la disposizione dei gruppi di figure e degli accessori decorativi del grande organismo compositivo.
Nella tazza, dalle finestre in su: Assunzione della Madonna quando va in cielo con il Cristo che discende a ricevere la Madre, accompagnata da una moltitudine di angeli, santi, patriarchi e profeti; nel tamburo, dal cornicione tino al sommo delle finestre: i 12 apostoli, S. Paolo e altri santi. Fra un apostolo e l'altro, finti bassorilievi di marmo e storie, a monocromato, del Vecchio Testamento; nel piedritto, sotto il cornicione: «una festa di puttini e altre cose belle e colorite»; nei pennacchi: due figure grandi per ognuno.
Mancava solo che tale contratto determinasse il numero totale delle figure da dipingersi: quanti maschi e quante femmine, quanti personaggi sacri e quanti profani. Una clausola di esso, tuttavia, prevedeva che i committenti, esaminato il disegno complessivo dell'opera, che il pittore era tenuto a presentare prima dell'inizio dei lavori, avessero la facoltà di farvi aggiungere altre figure. Altre condizioni, inoltre, stabilivano che il Gatti dovesse trasferirsi a Parma con la famiglia e che, senza licenza dei committenti, egli non potesse iniziare altra opera fino a che non avesse terminata quella intrapresa. Infine, un'ultima condizione pretendeva che i rettori e i fabbricieri della Steccata, una volta esaminata la prima parte dell'affresco, potessero revocargli la commissione qualora, a loro giudizio, essa risultasse inferiore a quanto egli aveva eseguito nell' «Adorazione dei Magi».
Il pittore, pur tanto acquiescente, rifiutò questa clausola lesiva del suo prestigio, protestandosi capace di far cosa migliore della precedente, «tale da far stupire chiunque la vedesse».
Buon profeta di se stesso, negli affreschi della cupola della Steccata di Parma, il Gatti si rivelò indubbiamente migliore che non in quello che di suo è dato vede re nell'«Adorazione dei Magi». Certo di riuscire a far cosa «tale da stupire chiunque la vedesse», come aveva orgogliosamente affermato in fase di trattative preliminari, egli volle tramandare ai posteri le sue sembianze, inserendovi un suo autoritratto nel gorgo delle figure che ruotano attorno alla Vergine, gloriosamente ascendente al cielo.
Gli esigenti committenti della confraternita e della fabbriceria furono paghi, versarono al pittore il rimanente del pattuito e non diedero luogo a controversie, come trent'anni prima era accaduto al pur grande Correggio, per la decorazione della cupola di quel Duomo, definita « ìun guazzetto di rane».
l Vasari, contemporaneo, passò da Parma allorché i lavori della Steccata erano ancora in corso. Salito sulle impalcature, ammirò da vicino l'opera del Gatti, per il quale ebbe parole di vivo elogio, scrivendo poi nelle sue celebri «Vite» trattarsi di «opera rara da poter stare con le altre».
Il gesuita Luigi Lanzi (1732-1810), nella sua «Storia pittorica d'Italia», considerata ancora oggi la prima metodica e compiuta trattazione della pittura italiana, giudica la cupola della Steccata: «opera insigne in ogni sua parte; e nella principale figura ch'è la Vergine, maravigliosa e sorprendente».
S.E.C. Spa – Divisione Commerciale Publia : P.IVA 00111740197
Via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona : Via Cavour, 53 - 26013 Crema : Via Pozzi, 13 - 26041 Casalmaggiore