26 agosto 1992
Una fama internazionale
Agosto 2020
CASALBUTTANO — Quattro passi per il paese ancora svuotato dall'ultima coda vacanziera offerta da questo residuo d'agosto; e per di più fatti di buonora, introducono il solitario visitatore tra le pieghe di un passato perduto. Se poi il percorso si snoda lungo il tragitto via Podestà-Jacini-Roma-Cavallara-Battisti-Bissolati, il silenzio che ne viene a quell'ora fa da sorprendente contrasto con l'atmosfera che fino ad alcuni decenni orsono vi si respirava.
Qui infatti, al tempo in cui «Berta filava», batteva il cuore operoso della vivacissima borgata, che si identificava orgogliosamente nella presenza di ben 7 filande. Ecco allora che si può ancor oggi riconoscere quanto resta di un così prestigioso patrimonio che collocò Casalbuttano in una posizione di assoluto rilievo a livello nazionale per quanto riguarda la produzione della seta. L'elenco comincia con due veri «colossi» allora in questo importante settore: la filanda Turina (poi Ronchetti) che ai tempi d'oro contava oltre 400 dipendenti; quindi la filanda Iacini (gestita dal 1882 dalla ditta milanese Mambroni con compartecipazione agli utili ed alle perdite con i proprietari al 50 per cento). Poi la filanda Sala, la Podestà, la Strazza, la Pigoli e la Strumia. Ma il portentoso traino di queste imponenti «sette sorelle» favoriva un indotto non meno vitale che si riconosceva nei numerosi «filandiin» diffusi nelle varie abitazioni private, a riprova che il lavoro «sommerso» è sempre stato una straordinaria risorsa per l'economia nazionale. E addirittura non mancavano nemmeno vere e proprie forme di «noleggio», come quello escogitato in via Bellini da Peppina Modesti, pronta a mettere a disposizione i suoi due fornelli delle donne che avevano qualche bozzolo da filare in proprio.
Agosto era periodo di piena attività per le filande che sospendevano la produzione solo a maggio, quando arrivava il tempo di occuparsi dei «cavaléer» (i bachi) che coinvolgeva praticamente tutta la popolazione. Allora le stanze delle case venivano attrezzate con gli «scalòon» (pali traforati). E i «bac» sostenevano «li areli», i graticci dove i bachi si preparavano a vivere i 40 giorni della loro esistenza, sino al momento di rinchiudersi nel bozzolo.
Ma non si deve pensare che, soltanto perché nascosta tra pareti domestiche, questo tipo di attività non rispondesse a precisi criteri.
Orecchie bene aperte allora alle parole dei «bigatìin», veri esperti che offrivano la loro apprezzata consulenza riguardo alla temperatura che si doveva mantenere nell’ambiente ovvero circa le caratteristiche e la qualità della foglia che doveva nutrire il baco durante la «màangia».
Una volta arrivato il sospiratissimo momento della maturazione, i bozzoli venivano portati all'ammasso per essere sottoposti al giudizio di severissimi selezionatori prima di essere accettati, e quindi pagati, dal filandiere.
Alla fine del ciclo di lavorazione comunque, la produzione era piuttosto articolata: le matasse di seta selezionata dalle attente «capièere» raggiungevano Milano, dove aveva sede il centro del mercato serico nazionale. I rimasugli della seta (i «recòt» e gli «struus») venivano invece intrecciati come funi per navi. Infine i cosiddetti «begot» (le crisalidi) venivano essiccati e destinati ad uso zootecnico. I bozzoli di scarto poi venivano lavorati nel «filandiin» domestici che reclutavano schiere di ex filèere avanti negli anni e ormai incapaci di sostenere i massacranti ritmi di lavoro della filanda.
Esiste addirittura un documento al quale si può far risalire l'esordio dell' attività serica a Casalbuttano. E la licenza con cui il 15 giugno 1750 il regolatore della gabella di Cremona riconobbe a Giacinto Jacini il diritto di «comprare seta, drappo crudo e gallette e di farne ammasso a Casalbuttano».
Giacinto Jacini era il nonno di Stefano, senatore del Regno d'Italia, che si fece promotore di una prospera attività economica ispirata a criteri di sorprendente lungimiranza e modernità imprenditoriale. La filanda Jacini conobbe, grazie a lui, uno straordinario impulso commerciale: il prodotto veniva infatti spedito in Francia, Austria e Inghilterra dove Stefano aveva saputo insediare attive agenzie di rappresentanza. Del resto la notevole qualità della seta casalbuttanese era riconosciuta dovunque e lo stesso arciduca Stefano d'Asburgo ebbe modo di dichiarasi ammirato delle rilevanti innovazioni tecniche presenti nei due maggiori impianti da lui visitati a Casalbuttano.
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