25 aprile 1989
Aprile 2020
Gli avvenimenti politico-militari in Italia dal 1943 al 1945 hanno cosi drammaticamente inciso sulla vita collettiva della nazione come sul destino dei singoli e delle famiglie che il ricordo dell'epoca si salda con le scelte da ciascuno compiute, con le memorie individuali, con le speranze nutrite. Accanto a pagine di giornate tragiche si collocano momenti, fatti, episodi dai quali nasceva la spinta ad operare per rinnovare il Paese, per evitare che mai più si ripetessero esperienze tanto paurose.
Nella nuova generazione, in assenza della memoria diretta, vengono le informazioni filtrate attraverso quel che narrano le cronache personali, le storie frettolosamente lette, i mass-media non sempre felici nelle loro ricostruzioni.
Ed anche la data del 25 aprile che evoca per le generazioni della guerra un periodo fosco, l’esaurimento di una «avventura» durata quasi un quarto di secolo, l'inizio di una faticosa ricostruzione non rappresenta invece per i giovani quel punto fermo che fu, in ogni caso, per i loro padri.
Occorre domandarsi quale sia la responsabilità del mondo politico e scolastico, o almeno di quelle parti di esso che ha preferito spesso lasciare in ombra una realtà, e soprattutto, ragioni, motivi, valori che condussero una parte degli italiani a impegnarsi nella lotta di liberazione.
Se si vuole fare opera di chiarimento vanno tenuti presenti alcuni aspetti spesso trascurati. Quegli eventi coinvolsero la nazione intera: si dimostrò allora che non è possibile ed è anzi pericoloso per l'avvenire di tutti perdere la fiducia nella libertà e lasciare che siano pochi a decidere per gli altri.
Ma un altro elemento che invece qualche volta sfugge nelle celebrazioni intendiamo qui sottolineare: il ruolo svolto dagli Alleati nella campagna d'Italia. Aggrovigliato il nodo dei comportamenti: la crisi di coscienza che colpì tanta parte del Paese portò, all'indomani dello sbarco degli anglo-americani in Sicilia, al colpo di stato del 25 luglio, all'arresto di Mussolini, all'avvento al governo di Badoglio che impiegò troppo tempo per venire alle decisioni più impegnative e concluse con la fuga un rovesciamento di fronte che avrebbe richiesto ben altra tempra e ben altre indicazioni ai comandi dipendenti.
Gli Alleati che avevano proseguito nei bombardamenti anche contro l'Italia non più ufficialmente «fascista» perseguivano esclusivamente scopi militari, in particolare la resa incondizionata della prima potenza nemica che cedeva. Per gli italiani che avevano vissuto 1’esperienza di quegli anni diventava sempre più evidente la necessità di liberarsi dal peso di una guerra voluta da Mussolini e da un ristretto gruppo, con la passività complice del re e di quanti altri avrebbero avuto mezzi per farsi ascoltare.
Coloro che avevano combattuto il fascismo e che cominciavano ad uscire dalle prigioni o dal confino non vennero subito presi in considerazione dagli alleati, ai quali anzi dava fastidio la presenza di un settore politico italiano che potesse rivendicare non solo la primogenitura di una lotta quanto una posizione di affiancamento nella campagna di liberazione. Non si volevano ripetere vicende come quelle francesi con Giraode De Gaulle.
Il comando supremo del Mediterraneo aveva premeditatamente puntato sulla sconfitta italiana, attraverso gli sbarchi e i bombardamenti aerei, e non aveva nessuna ragione per rinunciare ai vantaggi di una vittoria conquistata sul campo. E le tappe successive, per risalire l'intera penisola, vedranno inglesi ed americani, neozelandesi e appartenenti alle colonie francesi come polacchi esposti a tutte le insidie della guerra per abbattere come infine avvenne nell'aprile '45 l'agguerrito esercito tedesco, ma non c'erano soltanto loro.
Nelle incomprensioni tra il nuovo ceto dirigente che emergeva in Italia e gli Alleati come delle diversità di valutazioni tra i governi di Londra, Washington, Mosca e i loro rappresentanti politici e militari nella penisola vi era un fattore di fondo che il comando alleato non intendeva cambiare a seguito della partecipazione italiana alla lotta antitedesca. Anche nei diari di guerra di Mac Milland, il più influente «consulente» politico degli Alleati in Italia (pubblicati anche da noi con una rigorosa introduzione di Elena Aga Rossi, la maggiore studiosa dei rapporti diplomatici di quegli eventi), risulta evidente come il problema della firma dell'armistizio lungo (quello definitivo, successivo alla resa dell'8 settembre) escludeva immediati riconoscimenti in favore dell'Italia, rimettendo all'avvenire eventuali diverse considerazioni.
E fu in tali condizioni che l'operato del movimento partigiano non poteva non risentire dal punto di vista inglese e americano di una sorta di diffidenza, nel timore di un'eccessiva coloritura rossa della Resistenza.
Ma proprio per queste difficoltà tanti italiani cercarono, con i loro infiniti sacrifici, di riacquistare un ruolo preciso per la nazione intera con una sfida ed una scelta che non erano tanto dirette a «guadagnare il biglietto di ritorno» come qualcuno disse, quanto a ristabilire il senso di una dignità, di un'affermazione di principi.
E su questo piano fu di grande significato anche la partecipazione del corpo italiano di liberazione come di altri reparti.
Ecco allora come la data del 25 aprile riconduce a momenti «spietati » del passato, anche a pagine significative che vanno giustamente ricordate come segni di valori non effimeri, di capacità di superare le prove più dure, nell'affermazione di valori nazionali.
Carlo Vallauri
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