08 Febbraio 2015 - 10:10
Ci sono parecchi motivi per essere fieri di appartenere alla nostra comunità. E’ bene ricordarlo ogni volta che se ne presenta l’occasione onde evitare che il pessimismo alimentato dalla difficile situazione economica ci tolga fiducia nei nostri mezzi, rendendoci incapaci di cogliere le occasioni di ripresa. Il Cancer Center, presentato nel corso della Giornata mondiale per la lotta ai tumori, lusinga il nostro ego collettivo. Dobbiamo essere orgogliosi della nascita di un nucleo d’eccellenza per la ricerca e la terapia tumorale all’Ospedale Maggiore di Cremona. E’ un progetto della città, ha detto il sindaco Gianluca Galimberti, interpretando correttamente il sentimento della collettività e soprattutto quello degli ‘angeli silenziosi’. Così l’assessore regionale Mario Melazzini ha definito i volontari delle associazioni attive in campo oncologico, riunite per la prima volta alla cerimonia di presentazione del Centro. Chi opera a diretto contatto con i malati sa quant’è importante dare loro fiducia e speranza, anche quando non c’è più speranza. Lo sanno i moltissimi amici di Gianluca Firetti, il ragazzo di Sospiro strappato alla vita da un sarcoma e tutti coloro che, pur non conoscendolo, hanno partecipato emotivamente al suo dramma. Quanti, come Gianluca, soffrono e attendono parole di conforto? Ogni anno in provincia di Cremona si contano 2.400 nuovi casi di tumore che al quarto piano dell’Ospedale, nel Cancer Center, saranno affrontati in modo diverso rispetto a quanto avviene adesso. Il salto di qualità si attende dall’integrazione fra chirurgia, area medica e laboratori. La metodologia multidisciplinare dovrebbe smorzare gelosie e personalismi, a esclusivo vantaggio dei pazienti. Cremona è in grado di fare il salto di qualità nel settore della diagnostica e della terapia oncologica e di avere un ospedale che in quest’ambito è al livello dei nosocomi più blasonati come il Niguarda e l’Humanitas.
Oncologia eccellente, ma pensiamo al pronto soccorso dalla prima pagina La soddisfazione per la prossima realizzazione di un progetto così ambizioso non compensa frustrazione e malumori per le criticità presenti nella sanità locale, che in taluni casi si manifestano nei servizi essenziali. Un esempio per tutti è il pronto soccorso. Da quando è esplosa l’epidemia influenzale, l’assistenza è garantita, non sempre la tempestività. Il lavoro è aumentato a dismisura anche perché si salta il filtro del medico di famiglia e si abusa di un reparto che dovrebbe affrontare solo l’emergenza. Ma il recente abbandono di due medici di lunga esperienza è la spia di un malessere che ha origini lontane e che nessuno finora è riuscito o ha voluto risolvere. A Cremona e a Crema fra dicembre e gennaio si sono superati i duecento accessi al giorno, un valore medio simile a quello del Niguarda di Milano che però ha un bacino di 800mila abitanti contro i 160mila di ciascuna delle nostre due città. Il servizio, strutturato su un’utenza largamente inferiore alle esigenze, è al collasso e lo sarà finché gli organici non saranno rivisti. Conoscere le pecche e non eliminarle è colpa grave per un ente pubblico, in questo caso la Regione. La giunta ha approvato la prima bozza del progetto di riforma del sistema sociosanitario, che sarà esaminata dal Consiglio regionale. E’ un lavoro complesso nel quale nessuno sembra accorgersi che una vera riforma dovrebbe partire dal servizio di Pronto soccorso. I tempi d’attesa ai quali sono costretti i pazienti sono indegni di un Paese civile. E non fa onore a una Regione come la Lombardia che tra le sue eccellenze colloca ai primi posti la sanità. Finalmente pare che qualcuno a Milano si sia accorto che il Pronto soccorso di Cremona e quello di Crema lavorano ben oltre le loro capacità e spesso in condizioni disumane. L’assessore Mario Mantovani, puntualmente avvisato, è intervenuto con le solite promesse. Ci auguriamo che alle parole seguano i fatti. Sarebbe paradossale che a un ospedale dotato di un nucleo di oncologia all’avanguardia come il Cancer Center venisse lasciato un Pronto soccorso che riesce a funzionare in situazione d’emergenza solo grazie al sacrificio di chi ci lavora.
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